"Vivere di fede, oltre i segni sensibili, oltre le circostanze; vedere la volontà di Dio, abbracciarla, amarla, porla in atto. "
Dom Adriano Grea
"Non commettiamo l’errore di pensare che il Signore non abbia più un compito da affidarci. Al contrario, pensiamo che mai come oggi sia necessario, insostituibile, il messaggio pasquale e profetico di Dom Gréa, quale segno di libertà e di comunione evangelica.
Contempliamo la bellezza del pensiero di Dom Adriano Gréa.. facciamoci stupire dal richiamo alla preghiera, alla divina liturgia, alla penitenza e all’eucarestia che devono essere riversate poi nell’apostolato. La bellezza, l’attualità e l’importanza del suo pensiero e delle sue opere ci doneranno quella forza espressiva e mistica che viene dalla presenza di Cristo tra noi e con noi."
Padre Lorenzo Rossi Fondatore Associazione Culturale Dom Adriano Gréa
Il cammino di Dom Grea dà davvero coraggio ai cercatori dando loro coscienza del proprio ruolo nel disegno di Dio. La coscienza del battezzato, del credente, del cristiano che Cristo si aspetta da noi. Questo è fare Chiesa è fare umanità. Questa presa di coscienza sarà la nostra salvezza. Il canto, la poesia, la lode, l'amore pieno verso il prossimo.. Un inno eterno lui ascolta e lui noi..
La vita religiosa è nel tempo presente un inizio, un’anticipazione di questo stato comune a tutti i fedeli nell’eternità costituita sul fondamento comune del Cristianesimo perché abita in tutti come una possibilità bellissima di vicinanza al Mistero, una bellissima scia che riposa e vive nell'humus dell'umanità e così il dialogo tra Dio e il suo popolo e il canto di Dio resta eterno impresso nei nostri passi come brezza leggera. E’ così che il nostro battesimo conduce noi tutti nella perfetta carità e contiene il mistero della nostra santificazione e la Chiesa compie in tutti noi la santità nel compimento della Grazia di Dio in noi.
Associazione Culturale Dom Adriano Gréa
"La forma visibile della vita dei cristiani è parte essenziale dell’atto comunicativo del Vangelo..."
Severino Dianich
“Sono i cristiani che sorreggono il mondo, con la loro comunione in Cristo, la loro santità, il loro vivere nel mondo senza appartenere al mondo, col dare tutto per amore di Cristo, disposti a perdere tutto pur di restare con Lui, in una parola, seguendo colui dal quale hanno ereditato il proprio nome. Sì, malgrado le forze contrarie, i cristiani – avendo Cristo nel cuore – sorreggono il mondo, non a guisa di una fascia che stringe insieme una ferita, ma come un nutrimento e una cura attenta che aiuta la ferita a guarire dal di dentro”.
J. H. Newman
Vivere il Mistero di Dio nella storia
Il titolo originale dell’opera di Dom Grea era “ Du mystere de l’Eglise et de sa divine constitution” cambiato poi dietro suggerimento del card Caverot, suo direttore spirituale, nel titolo spirituale ( cf Bullettin Cric n 170, juin 1985, Aux origines du traitè de l’Eglise).
Il filo d’oro che è proposto come linea interpretativa della Lumen Gentium è “ La Chiesa e il suo mistero”. Mistero è il disegno di Dio nella storia: mistero nascosto dall’eternità che progressivamente ci è comunicato in Cristo Gesù. Essa non è dunque il Regno di Dio, ma costituisce “ il germe e l’inizio” di esso ( cg LG cap1). Contemplare la Chiesa non è più sotto il profilo della societas perfecta, ma sotto la categoria biblica del “mistero” significa progettarla nell’orizzonte della SS Trinità.
E’ ciò che il trattato che l’Eglise di Dom Grea ha anticipato ottant’anni prima della LG. Al concilio Vaticano II, Mons. Jenny, in un intervento, così si esprime, rivolgendosi ai Padri Conciliari: “ Noi vogliamo dunque parlare del mistero della Chiesa e dei sacerdoti. Un autore di grande rilievo, il fondatore dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, il Padre Adrien Grea, ha trattato di questo argomento e in un certo senso è stato profeta del nostro Concilio in un libro intitolato “ De l’Eglise et de sa divine constitution”.
“ Ciò che il Cristo ha fatto lui stesso a suo tempo, oggi continua a compierlo per mezzo del vescovo nella sua Chiesa particolare, proclama il vangelo, celebra la morte del Signore e la sua risurrezione, edifica come Chiesa il popolo di Dio”
L’immagine di “ popolo di Dio” è qualificante per descrivere il mistero della Chiesa. Da un lato infatti questa immagine dice il primato di Dio “ Abbà-che convoca attorno a Gesù nel soffio del suo Spirito gli uomini e le donne ( cf P. Coda, La Chiesa e il suo mistero. La lezione di Lumen Gentium, in Vita monastica 247 ( gennaio-marzo 2011, p 31) e, dall’altro essa esprime l’uguale dignità di essi tutti, come figli nel Figlio, di cui l’unico è il Padre e unico maestro e Signore.
La ricchezza dello Spirito è distribuita oltre ogni confine territoriale o di organizzazione ma non senza avere come primo destinatario la Chiesa particolare fatta di uomini e donne docili allo Spirito che realizzano il massimo di testimonianza attraverso la comunione.
La Chiesa si lascia convertire sotto la guida del vescovo e attraverso il suo discernimento dà voce alla profezia in una continua conversione della vita personale e delle sue strutture. La Chiesa particolare aiuta a non fare delle congregazioni e delle spinte all’annuncio una somma di comunità gruccia, entusiaste, ma chiuse su orizzonti privatistici e cariche di capacità propulsive ma spesso troppo selettive.
L’unico titolo per appartenere al popolo della speranza è la chiamata di Dio ad accogliere la fede e la sua accoglienza e professione nel battesimo che solo nella Chiesa particolare ben radicata su un territorio in un popolo preciso può essere celebrato ( Domenico Sigalini pag 7 di La Chiesa locale Madre dei Cristiani)
Associazione Culturale Dom Grea
Dom Grea, pioniere della Chiesa
Vogliamo condividere una riflessione tratta da alcuni preziosi articoli a nostra disposizione e condivisi con grande piacere.
Partiamo dal bell’ articolo di P Fouret (tratto dal bollettino dei CRIC 1984 n 168; “Il vescovo e la vita religiosa”). Questo scritto riporta la lettera del vescovo Hamer rivolta a tre vescovi americani per aiutare i religiosi nell’opera di apostolato per vivere una piena vocazione ecclesiale. Hamer rassicura che questo compito non avrebbe inciso né su una diminuzione del ruolo dei vescovi né tantomeno sulla limitazione dei compiti dei religiosi ma anzi ne sottolinea l’importanza sul ruolo di guida dei vescovi e nel far progredire sulla via della santità i loro chierici e religiosi e laici secondo la loro vocazione.
Proprio a partire da questo punto giungiamo al cuore del discorso; Fouret dice che il linguaggio espresso dal vescovo Hamer gli ricorda le belle pagine che Dom Grea ha dedicato alla figura vescovo, capo della Chiesa particolare, dove capo” non è solo da intendere capo dell’ organo sul quale è al comando ma come colui dal quale si dirama il corpo della Chiesa: la Chiesa particolare esiste dal suo vescovo, procede da lui, riceve da lui tutta la sua costituzione, riposa su di lui come “ l’edificio riposa sulle sue fondamenta”. “ Il vescovo è lui stesso il Cristo donato( alla Chiesa particolare) per farla nascere e vivere della vita divina”. Il parallelo è davvero stupefacente tra quello che dice Hamer e quello che diceva Dom Grea già un secolo prima…
Nella sua opera principale Adriano Grea espresse pienamente la sua visione della Chiesa. Come esprime Vernet ( riportato da Serentha) negli “ inizi della teologia della Chiesa locale” dire Canonici regolari in Dom Grea “significa introdurre la vita comune e religiosa nel clero ordinario delle Chiese particolari, creando dei preti che siano i religiosi del vescovo, avendo come riferimento le Chiese particolari. Osserva de Lubac in questo testo l’eminente dignità riconosciuta ad ogni sacerdote, le cui funzioni e poteri sono essenzialmente gli stessi di quelli del vescovo (salvo il potere stesso dell’ordinazione). Nel suo sacro ministero il sacerdote cooperatore del vescovo non è il ministro del vescovo; egli è, come il vescovo, ministro di Cristo.La Chiesa universale è certamente superiore alla Chiesa particolare, ma questa assume un ruolo e importante e ben preciso attraverso il vescovo che ha con sé un rapporto intrinseco e ineliminabile con essa. Le Chiese particolari sono nella loro sede il popolo nuovo riunito con lo Spirito Santo, la concentrazione della Chiesa universale che si realizza nelle Chiesa particolari attraverso i sacramenti. Il tutto ( Chiesa universale) in una parte ( Chiesa) particolare)..nell’unità ( “La Chiesa locale Madre dei Cristiani e speranza per il mondo pag 13-14”).Così questa Chiesa non è semplicemente la confederazione di chiese particolari, ma la Chiesa le precede nel disegno divino e comunica ad esse ciò che sono, lungi dal ricevere da esse ciò è lei stessa.
Ecco che Dom Grea ha delineato una nuova ecclesiologia già alla fine dell’800 senza rinnegare la traduzione affinatasi negli anni passati ma precisandola e completandola, ponendosi come un esploratore, pionere il quale purtroppo per le traversie di fondatore dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione non ebbe riconosciuto ufficialmente il suo grande pensiero che già si profilava come un importante tassello degli studi di teologia prima precursore ora estremamente attuale e preziosissimo per il futuro della Chiesa.
Ass culturale Dom Grea
Fonti: “ l’Eveque et la vie religieuse” ( dicembre 1984 n 168)
La chiesa locale madre dei cristiani e speranza per il mondo ( pag 13-14)
Gli inizi della teologia della Chiesa locale “ De l’eglise” di Dom Grea” ( un hapax dans la theologie de l’epoque pag 33)
La spiritualità del presbitero diocesano oggi ( pag 93 la chiesa locale e la sua storia)
“Ascoltatori del cuore”
Lungo il nostro cammino come associazione culturale Dom Adriano Grea, abbiamo delineato alcuni aspetti che da tempo affioravano nel nostro percorso di studi seguendo il pensiero, i passi di Dom Grea..
Immergendoci nella lettura di un articolo su Newman “ Ascoltatore del cuore” (Feeria 50 2016/2 Articolo: John Henry Newman, “ figlio di San Filippo Neri”) abbiamo riscontrato nella sua ricerca, il taglio che da tempo abbiamo delineato nel nostro percorso di approfondimento sul pensiero di Dom Grea. Infatti riprendendo queste parole “ Alla contemporanea, talora ingenua, fiducia razionalista di poter provare l’esistenza di Dio mediante argomentazioni “ esternaliste” etc.., Newman risponde col sottolineare il valore della coscienza, delle “ disposizioni” interiori o morali, con le quali il soggetto umano ricerca la verità religiosa. In luogo di un’orgogliosa idea di razionalità ripiegata su se stessa, limitata e autosufficiente: “ Noi crediamo perché amiamo”.
Non si giunge alla fede mediante quella che egli definisce “ logica di carta”. Né gli argomenti sillogistici, né le evidenze prodotte da un sistema, né la dimostrazione dell’ordine del cosmo rendono piena ragione del credere cristiano.
Virando così, in tutt’altra direzione rispetto all’apologetica del suo tempo, Newman riserva gli atteggiamenti interiori- soprattutto alla propria esperienza di coscienza-la chiave privilegiata di accesso alla realtà di fede: “ Se guardassi uno specchio e non ci vedessi la mia faccia proverei lo stesso tipo di sensazione che ora mi prende quando guardo questo mondo vivo, affaccendato, e non vi trovo alcun riflesso del suo creatore.. Se non fosse per questa voce che parla così chiaramente nella mia coscienza e nel mio cuore, quando guardo il mondo io diventerei ateo.. e sono ben lontano dal negare la forza reale degli argomenti dell’esistenza di Dio tratti dall’osservazione sulla società umana in generale e sul orso della storia; ma questi non mi riscaldano, non mi illuminano; non tolgono l’inverno della mia desolazione, non fanno germogliare le foglie nel mio cuore e non rallegrano il mio spirito ( Apologia pro vita sua, cit pp381-382)
E così la ricerca contemplativa di Dom Grea; il mistero: la Chiesa e il suo completamento. L’umanità abbracciata da Dio stesso nella persona di Gesù e rispecchiata dalla Chiesa universale che ha una buona notizia per tutti ( da “ Le Parole del Sinodo”). Una Chiesa universale che si dirama nelle Chiese particolari che non negano anzi vivificano la Chiesa universale. La Chiesa particolare non è quella struttura, non è quell’elemento organizzativo. “La Chiesa particolare è la comunità dei fedeli, è la comunità aperta agli altri,di coloro che battezzati entrano a far parte di una realtà organica e misteriosa qual è la Chiesa nel mondo”( La Chiesa locale; Madre dei Cristiani e Speranza del Mondo”pag 22) e Dom Grea ne fu pionere ma “anche a causa delle sue traversie di fondatore dei canonici regolari dell’ Immacolata Concezione non riuscì a inserirsi di forza nel cammino degli studi di teologia dominati dalle acquisizioni del concilio vaticano primo”( op cit pag 14).
Noi entriamo non tanto nella storia degli uomini ma nella storia di Dio e del suo amore. Lui non si stanca manca mai..a partire dalla creazione dell’uomo
Il mistero,un amore rivelato con Cristo e tuttora rivelato nella diffusione del Vangelo,nell’Ascolto della Parola,la liturgia è il realizzarsi ogni giorno di questo mistero attraverso dei segni,dei sacramenti,attraverso il nostro amore che abbiamo per Dio e i nostri fratelli..la liturgia non è solo un linguaggio ma è il vivere il mistero attraverso le nostre scelte vivendo questo incontro con il Signore.
In tutto ciò la Chiesa è il primo momento dell’esperienza cristiana, il momento sorgivo della nostra stessa fede. Non avremmo niente, liturgia parola testimonianza fede, se non avessimo la Chiesa. La comunità di Gesù precede tutto, precede la stessa gerarchia, gli stessi carismi: io credo perché qualcuno mi ha parlato di Gesù Cristo; posso leggere la Bibbia perché qualcuno prima di me l’ha ricevuta, custodita e trasmessa; posso celebrare la messa perché ripeto i gesti di coloro che li hanno compiuti prima di me … in una parola, la comunità cristiana è il grembo di tutta l’esperienza di fede, di tutto il cristianesimo. E se la Chiesa è grembo germinale della fede dei credenti, essa a sua volta non è altro che l’immagine e il frutto del grembo trinitario da cui la Chiesa ha origine.
Nella storia dobbiamo riconoscere l’affermazione primato dell’iniziativa divina e proprio per questo immergerci nella straordinaria riscoperta della prospettiva trinitaria, della storia della salvezza …«La Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (…(estratto da Liturgia in Dom Grea;Padre Lorenzo Rossi 14 aprile 2015 riflessione tratta da A. Andreini, Il risveglio della Chiesa, in Feeria 43, marzo 2013, pp. 43-44).
La chiesa universale è l’unione di tutte le chiese(“L’Eglise et sa divine Costitution”,pag 70),le chiese particolari non sono province,circoscrizioni..tutto il mistero della Chiesa universale si trasmette alle Chiesa particolari attraverso i sacramenti(“L’Eglise et sa divine Costitution”,pag 69)
La chiesa particolare è il realizzarsi del suo mistero(“L’Eglise et sa divine Costitution”,pag70) che è ciò che il Signore manda fin da quando ci ha creato,ciò che ha compiuto per amore degli uomini in tutta la storia,attraverso suo figlio e noi come chiesa siamo inseriti nella storia dell’amore di Dio verso gli uomini. La Chiesa popolo di Dio e corpo totale di di Cristo si realizza infatti nelle comunità concrete…la Chiesa è lì dove vi è una comunità che che diffonde il suo messaggio che annuncia il suo messaggio,vive i suoi sacramenti e riceve i suoi doni..
La Chiesa è Corpo totale di Cristo e Popolo di Dio in cammino che prega, che accoglie la sua Parola e riceve l’Eucarestia il dono di Dio nella sua pienezza; Cristo dona se stesso al suo popolo tramite lo Spirito Santo, venendo a dimorare in noi e noi, il suo popolo in lui.
Attraverso l’azione dello Spirito Santo, Dio trasmette i suoi molteplici doni a tutto il suo popolo esprimendone la sua novità stessa costante al popolo che vive continuamente la sua chiamata e realizza il suo stato di comunione nutrendosi della Parola di Dio, che vive del Cristo e ne riceve i suoi molteplici doni attraverso lo Spirito Santo.
(Riflessione tratta “Dalla grazia dei muri alla grazia dei volti” pag 48-49)
L’evento della comunione che è innanzitutto grazia accade là dove intenzionalmente ogni volta di nuovo tenendo fisso lo sguardo su Cristo mi pongo di fronte al fratello nell’atteggiamento di Cristo stesso, tratta con lui come farebbe cristo e riconosco in Lui la sua presenza. La comunione è l’inizio, la forma e il fine della vita ecclesiale.( “Vita monastica, luglio-dicembre 2008”,pag 37)
Dio che e in me, vi riposa in Trinità è anche nel cuore dei miei fratelli. Quindi non basta che ami Lui solo in me. Lui è il mio Cielo e come in me nell’anima dei fratelli. E come lo amo in me lo amo nel fratello presso di me. E se i due cieli si incontrano vi è un’unica Trinità ove i due stanno come Padre e Figlio e tra essi è lo Spirito Santo. E raccogliendo l’altra creatura nel proprio Cielo raccogliendo sé nel suo cielo. Questa Trinità è in corpi umani; l’Uomo.Dio.
E fra i due è l’unità ove si è uno, ma non si è soli. E’ qui il miracolo della Trinità e la bellezza di Dio che non è solo perché Amore..
Ma occorre perdere il Dio in sé per Dio nei fratelli. E questo lo fa soltanto chi conosce e ama Gesù abbandonato. ( Rivista monastica n 240 luglio dicembre 2008 pag 37)
Ci riscopriamo quindi protagonisti in questo disegno di Dio.. realizzando la nostra missione di Cristiani. “ Esser cristiani è tirare fuori l’originalità che ci rende unici e irripetibili”. E’ l’audacia dell’impossibile.. è una continua sfida per tutti noi. “ La comunità cristiana è chiamata allora ad annunciare e sostenere una fede che indichi percorsi di vita alternativi, controcorrente, che contestino un sistema e un modo di pensare inoculando il contagio più potente che ci sia: l’amore sovversivo di Gesù!” (Rocca numero 22 L’audacia dell’impossibile pag 46)
I.R.
Materiale Feeria 50 2016/2 Articolo: John Henry Newman, “ figlio di San Filippo Neri” pag 36-43
Articolo “L’audacia dell’impossibile” Rocca 15 Novembre 2016 ( pag 44-46)
La Chiesa locale Madre dei Cristiani e Speranza per il mondo pag 14
La divine economie in Dom Adrien Grea Padre Clemente Treccani
Contemplare la Chiesa
Tratto dagli studi di Padre Lorenzo Rossi Cric Fondatore Associazione Culturale Dom Adriano Grea
P. Henri A. Hardouin Duparc: «Dom Gréa dichiara fin dall’inizio che il suo intento non è quello di imitare i teologi che nei loro trattati hanno descritto l’autorità della Chiesa, la sua amministrazione, la sua forma di società perfetta. Con molto talento, vuole invece iniziare a descrivere, per quanto è concesso alla nostra intelligenza umana, il mistero della costituzione della Chiesa, in quanto è un dono che procede da Dio stesso, per mezzo del suo Cristo; e così comprendere come la Chiesa viene a essere il completamento e lo sviluppo (S. Paolo dice la plenitudo) della missione di Cristo. Questo completamento della missione del Cristo non è distinto dalla persona stessa del Cristo: infatti il compimento della sua missione è la sua unione con l’elemento umano. È che egli venga ad abitare in questa Chiesa, o meglio nelle anime dei discepoli. Dal momento che bisogna ben ammettere che è proprio là il fine della sua missione di Figlio di Dio venuto sulla terra per operare il riscatto e la sovrabbondanza, la copiosa redemptio – grande è presso di lui la redenzione, Ps 129,7 – che dal peccato ci rende figli di Dio. “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, …” (Gv1,12; cf. D. Gréa, L’Église, p. 81)».
2) H. de Lubac: «Dom Gréa ci invita a una “contemplazione” della Chiesa, ci parla costantemente del suo “mistero”, del “mistero della sua vita”, ce la mostra nel suo rapporto con la Santa Trinità, Chiesa che proviene dal Padre e vi ritorna diretta dal Cristo e animata dallo Spirito Santo. Ma questa visione mistica è quella di un organismo molto ben strutturato che si sviluppa visibilmente nella storia».
3) L. Bouyer, Préface a L’Église, p. 7: «La “Chiesa” di Dom Gréa non sviluppa questi aspetti in opposizione agli aspetti istituzionali e più precisamente gerarchici. Al contrario è l’idea di gerarchia e di ordine sacro che domina la sua sintesi. Ne dà una nozione così profonda e vivente da far capire subito che la gerarchia ben compresa, lungi dal comprimere gli elementi viventi della Chiesa, è ciò che loro dona, insieme con la loro coerenza esteriore, la loro continuità intima e soprannaturale».
2. Chiesa dalla Trinità e gerarchia
Pensare la Chiesa e pensarsi Chiesa nella prospettiva di Dom Gréa e in seguito del Vaticano II significa non più partire da una sorta di fondazione avvenuta una volta per tutte, non solo considerare una societas che viva fedelmente un compito che le è stato assegnato.
La Chiesa è invece il primo momento dell’esperienza cristiana, il momento sorgivo della nostra stessa fede. Non avremmo niente – liturgia, Parola, testimonianza – se non avessimo la Chiesa. La comunità di Gesù precede tutto, precede la stessa gerarchia e gli stessi carismi. La Chiesa è nostra madre perché ci dà il Cristo. Essa genera in noi il Cristo e ci genera a sua volta alla vita di Cristo. Ci dice, come Paolo ai Corinti: «Vi ho generato per mezzo del Vangelo in Cristo Gesù» (1 Cor 4,15).[1]
La comunità dei credenti, a partire dalla prima comunità cristiana nel fervore della sua fede e del suo amore, ha costituito l’ambiente apportatore dello Spirito che suscitò gli evangelisti, capace di conservare inalterato il dogma nel suo rigore e nella sua semplicità. Ha saputo la Chiesa conservare la fede e trasmettere il culto del suo Signore: «Senza la Chiesa il Cristo svanisce, o si frantuma, o si annulla» (P. Teilhard de Chardin).
La comunità cristiana è grembo germinale della fede dei credenti, essa a sua volta è l’immagine e il frutto del grembo trinitario, da cui la Chiesa ha origine. È quanto Lumen gentium descrive nei primi numeri, nei quali viene evocato il mistero della Trinità che agisce nel cuore della storia (cf. A. Andreini, Il risveglio della Chiesa, in Feeria 43, marzo 2013).
L’arcano disegno di sapienza e di bontà del Padre, a noi rivelato attraverso la missione del Figlio, che ci ha mostrato la grandezza dell’amore di Dio e ha fondato la Chiesa, la quale è santificata e continuamente rinnovata per mezzo dell’azione dello Spirito Santo. È così che al n. 4 Lumen gentium potrà concludere: «La Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Dom Gréa nell’Église così si esprime: «In Dio c’è gerarchia perché c’è unità e numero. … È la società eterna del Padre e del Figlio che riconduce e dona il Figlio al Padre e in questa società la processione sostanziale del Santo Spirito che la porta a compimento. Ecco che questa gerarchia divina e ineffabile si è manifestata all’esterno nel mistero della Chiesa. Il Figlio nell’incarnazione, inviato dal Padre, è venuto a cercare l’umanità per unirla e associarla a Lui. È così che la divina società è stata estesa fino all’uomo e questa estensione misteriosa è la Chiesa. La Chiesa è l’umanità abbracciata, assunta dal Figlio nella comunione (società) del Padre e del Figlio. Per mezzo del Figlio vive in questa comunione e ne è tutta trasformata, penetrata e circondata: “la nostra comunione è col Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo” (1 Gv 1,3). La Chiesa non porta solamente in sé le tracce dell’ordine come ogni opera di Dio, ma la realtà stessa della gerarchia divina e precisamente la paternità divina e la filiazione divina, il nome del Padre e il nome del Figlio, vengono a lei e riposano in lei» (pp. 33-34).
Fondamentale per Dom Gréa è questo concetto teologico di gerarchia, che ritorna anche parlando della “Terza uscita di Dio”, ossia del mistero dell’incarnazione: «Vi è qui in effetti la manifestazione suprema di Dio e per comprenderla bene consideriamo che Dio nelle sue opere manifesta i suoi attributi, e in questa manifestazione vi è come un progresso e una gerarchia, un ordine stabilito e seguito» (L’Église, p. 21).
3. Triplice potere conferito alla gerarchia
Dom Gréa approfondisce la propria riflessione sulla gerarchia e sul potere a essa conferito nel Cap. IX de L’Église (ed. Casterman, pp. 88-107), che qui presentiamo, in parte traducendo le parole dell’autore, in parte riassumendo.
Prestiamo attenzione al significato che assume il termine gerarchia per non fermarci all’esteriorità di un potere ridotto agli aspetti giuridici. È importante invece «considerare qual è l’oggetto proprio ed essenziale del potere che costituisce le gerarchie o, se si vuole, quale è l’azione vitale diffusa in esse e che le anima. Noi vedremo nella sua essenza il potere che è nella Chiesa, un potere di insegnare, di santificare e un potere di governare» (L’Église, p. 88).
a. Potere di Cristo
«La gerarchia è depositaria di un potere ricevuto da Dio, che si articola in essa nei diversi membri. Qui c’è la sua essenza e la prima nozione da tenere ben presente. Questo potere è il principio attivo che mette in gioco tutti i suoi organi, si estende così dal centro in tutte le parti, come attraverso tanti canali, per portarvi movimento e vita.
Quale è dunque quanto al suo soggetto la natura di questo potere che Dio ha posto nella Chiesa, o, se si vuole, quali sono le attività incessanti che costituiscono questo potere e la vita di questo grande corpo in ogni suo grado?
Eleviamo i nostri pensieri fino alla sorgente stessa, ed entriamo ancora una volta nella contemplazione del mistero di Cristo che esce dal seno del Padre e porta con sé tutta la vita della sua Chiesa. “Dio è il capo di Cristo” (1 Cor 11,3), e questo vuol dire che Cristo “è da Dio” (Gv 8,42) e riceve da Dio (Gv 16,15). …
Verbo eterno del Padre suo, Egli è la sua parola e la sua verità. Essere da lui, significa ricevere da lui; essere da lui la sua parola, vuol dire ricevere da lui la sua parola. In questa parola, egli riceve ogni parola che viene da Dio, perché tutte le verità particolari sono contenute nella verità unica che è lui stesso. Ed è per questo che egli dice a suo Padre, parlando della sua Chiesa: “Le parole che tu mi hai donato, io le ho a mia volta donate loro” (Gv 17,8), come se si trattasse di più parole; e ancora “loro hanno custodito la tua parola” (Gv 17,6), parlando come di una sola parola. …
Egli è questa medesima sostanza, “Dio da Dio” (cf. Simbolo di Nicea), tutto l’essere, tutta la vita, tutta la santità, tutta la divinità. Il Cristo riceve da Dio e dona alla sua Chiesa. Egli dona in lui stesso l’essere, la vita, la partecipazione di Dio. “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso” (Gv 5,26); e il Cristo dice a sua volta: “Sono venuto perché abbiano la vita … Io do loro la vita eterna” (Gv 10, 10. 28). Egli concede loro “di diventare figli di Dio” (Gv 1,12), d’essere fatti “partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4).
Infine, c’è un terzo aspetto di questi rapporti di Dio e del suo Cristo. Dio è il capo di Cristo, e questo vuol dire che Dio possiede il suo Cristo, perché il suo essere procede da lui e il Cristo appartiene a Dio (1 Cor 3,23).
Gli appartiene per il diritto senza ineguaglianza che dona a suo Padre la sua nascita eterna, e gli appartiene anche per la sua nascita nel tempo e nella sua umanità, che è l’opera di Dio. … e noi vi vediamo anche il potere sovrano che ha sulla nuova creatura, che è opera sua, vale a dire il suo diritto a l’obbedienza umile e assoluta dell’uomo nuovo, che riceve tutto di lui in Gesù Cristo, e che è a lui interamente sottomesso (1 Cor 15,27-28)» (cf. L’Église, pp. 88-90).
b. Comunicazione del magistero fatta da Cristo alla sua Chiesa (cf. L’Église, pp. 90-91)
Cristo comunica alla Chiesa la parola: “quello che ho udito da lui, questo annuncio al mondo” (Gv 8,26). E le comunica anche di insegnare a sua volta: “Andate e ammaestrate tutte le genti” (Mt 28,19). Questo insegnamento ha due caratteristiche: in primo luogo è infallibile; in secondo luogo è dato per mezzo della bocca dei vescovi, in mezzo ai quali il Cristo risiede nella persona del suo vicario.
c. Comunicazione del ministero fatta da Cristo alla sua Chiesa (cf. L’Église, pp. 91-97)
Cristo comunica alla Chiesa il potere di santificazione. Questo potere, distinto dal magistero, è chiamato ministerium (molti teologi lo chiamano sacerdotium) e consiste nell’applicazione del testo di Gv 1,12: “a quanti lo hanno accolto, (il Verbo) ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Per renderli figli di Dio, li ha resi partecipi della natura divina (2 Pt 1,4).
Ciò avviene per il mistero del sacrificio, dove lui stesso è vittima e sacramento: “siamo stati infatti sepolti con lui nel battesimo” (Rm 6,4-5).
Tutti i sacramenti producono sempre questo fine:
il battesimo facendoci morire e rinascere;
l’eucaristia nutrendo questa vita;
la penitenza è rimedio alla malattia;
l’unzione dei malati è la consumazione della penitenza, come la cresima lo è del battesimo;
il matrimonio gli assicura nuovi figli.
Il potere santificatore della Chiesa straripa dai sacramenti e si estende ai sacramentali.
L’episcopato si associa l’ordine inferiore dei sacerdoti.
d. Comunicazione dell’imperium o autorità fatta da Cristo alla sua Chiesa (cf. L’Église, pp. 98-104)
La nuova umanità è chiamata alla vita per mezzo del magistero. Essa è partorita alla vita attraverso il ministero. A chi appartiene? A colui che le dà l’essere, cioè a Gesù Cristo, che sarà il suo re. In tal senso, l’auctor deve avere l’auctoritas. È lui che possiede la Chiesa, che la regge, la governa nella persona del suo vicario, associandosi il collegio dei vescovi, suoi rappresentanti.
L’imperium contiene il potere legislativo, giudiziario, esecutivo, e discende fino al vescovo (pertanto, i principi sia eterodossi sia cattolici compiono un’usurpazione quando pretendono di ingerirsi nel governo ecclesiastico). La città terrestre e la Chiesa sono due società indipendenti, sempre distinte, necessariamente unite. La città terrestre: deve fornire alla Chiesa i suoi membri, deve aiutare e assistere la Chiesa, deve alla Chiesa una certa obbedienza in tutto ciò che questa assistenza esige.
e. Unità del potere gerarchico (cf. L’Église, pp. 105-107)
Questi tre poteri non sono indipendenti gli uni dagli altri, e nemmeno interamente distinti. Come la missione di Cristo è una, i poteri della Chiesa non si separano affatto. Tutti i suoi vescovi sono infine dottori, santificatori, principi spirituali. Sono poteri coordinati che si completano per non formarne che uno solo.
Da ciò deriva l’obbligo missionario del collegio episcopale; inoltre, il vescovo di una Chiesa particolare prima di essere pastore dei fedeli, è innanzitutto dottore degli infedeli.
4. Il mistero della Chiesa vissuto nella comunità: la liturgia
1) Nell’intento di cogliere l’importanza fondamentale rivestita dalla comunità religiosa dei canonici regolari in ordine allo sviluppo e alla stesura del trattato L’Église di Dom Gréa, ci serviamo di questo recente giudizio sulle categorie di mistero e incarnazione:
«L’anima della fede è la passione per Gesù, la sua umanità e divinità che incontra il nostro travaglio profondo di dubbio e di accensione del cuore, di richiesta di senso e di inconsce paure, di apertura e chiusura, il tutto sull’ordito di un alto desiderio di avere nel mondo un compito di amore verso tutti. Soltanto da Lui è per noi possibile accendere quel “fuoco”…
Noi cristiani, oggi più che mai, dobbiamo … avere il coraggio di confidare nel mistero di Dio. Di fatto, il messaggio più centrale e originale di Gesù è consistito proprio nell’invitare l’essere umano a confidare nel Mistero insondabile che si trova all’origine di tutto. …
“Non abbiate paura … Confidate in Dio. Chiamatelo Abbà, Padre amato. … Abbiate fede in Dio” (cf. Mt 10, 26-31). La fiducia nel mistero di Dio …
La sua vita ruotava intorno a un progetto che lo entusiasmava e che lo faceva vivere intensamente. Lo chiamava “regno di Dio” … La sua gioia nel parlare del Padre e nel fare ogni sforzo per comunicarlo. … Felice in quel supremo momento di angoscia e solitudine, nell’abbandonarsi all’amore del Padre. Così Egli ha aperto un canale indistruttibile tra Dio e la nostra condizione umana» (C. Mezzasalma, Il combattimento della fede, in Feeria 44, settembre 2013, pp. 5-7).
2) La sua terra, i luoghi – Baudin, St. Claude, St. Antoine –, la sua comunità, coloro con i quali ha fatto la sua prima professione, i confratelli in seguito sempre teneramente amati fino alla morte, come «l’opera confidata alla mia vocazione»; i grandi protettori dell’opera – il P. Desurmont, mons. de Ségur, luci e guide degli ammirevoli progressi dell’opera durante 40 anni – erano la roccia su cui Dom Gréa poggiava la sua esistenza, tenendo sulle ginocchia la Bibbia. La quotidianità del pensare, del comunicare, del vivere, sgorgava come una creazione, un impasto di materia e parola che rivelava il mistero, senza violarlo e senza esaurirlo: è così che, come un inno di lode, è nata la sua grande opera, L’Église:
«La santa Chiesa cattolica è l’inizio e la ragione di tutte le cose (cf. S. Epifanio). Il suo nome santo riempie la storia fin dall’origine del mondo. … Al di là dei secoli l’eternità l’attende per darle compimento nel suo riposo. La Chiesa porta con sé nell’eternità tutte le speranze del genere umano che essa racchiude» (L’Église, Cap. I, p. 17).
«C’è del mistero in questo, e i ragionamenti tratti dalle analogie umane non possono arrivarci; i governi umani e la polizia degli stati non offrono nulla di simile, ma bisogna elevarsi più in alto e cercare nell’augusta Trinità la ragione e il tipo di tutta la vita della Chiesa» (L’Église, p. 133).
Come fa giustamente notare H. de Lubac: «Dom Gréa si mostra particolarmente sensibile al “mistero della gerarchia”» (Paradosso e mistero della Chiesa, Milano 1979, p. 20, nota 22); lo stesso teologo, citando l’incipit deL’Église, “La santa Chiesa cattolica è l’inizio e la ragione di tutte le cose”, osserva: «È ciò che aveva detto Herma, nel II secolo, nella seconda visione del suo Pastore» (Paradosso e mistero della Chiesa, p. 57), ponendo così in luce le solide radici patristiche dell’ecclesiologia di Dom Gréa.
Il punto focale, che teneva insieme le due fonti della Bibbia e della comunità, era eminentemente la liturgia, quella orante salmodica di tutti i giorni, e quella eucaristica quotidiana e festiva. Essa costituiva un ponte reale e sempre aperto tra ciò che è memoriale, ispirazione, mistero, parola rivelante, e il presente, la storia, l’adempimento sempre in evoluzione. L’attesa e l’annuncio del nuovo sempre veniente; un ponte fatto di parole-gesti, silenzi, incontri, comunione, attenzione, tenerezza perfino: nella liturgia Dom Gréa era davvero il “pontefice” che aveva descritto ne L’Église la sua poesia-lode.
In tal senso, risultano illuminanti queste riflessioni prese dalla Vie de Dom Gréa di Paul Benoît, relativamente alle circostanze storiche di pubblicazione de L’Église:
«Ma amava tanto la Chiesa perché lo Spirito Santo l’aveva a lui rivelata in tutto il suo splendore. Come Ezechiele, aveva ricevuto “la cordicella” per misurare “la lunghezza, la larghezza e l’altezza della Gerusalemme celeste”. Per quarant’anni ne ha parlato in ogni occasione, in pubblico e in privato. All’innumerevole moltitudine dei suoi visitatori, ai religiosi riuniti e formati da lui, alle assemblee dei fedeli venute per ascoltarlo. E tutti, alla sua parola semplice ma infervorata, hanno visto, o almeno intravisto, nella divina sposa di Gesù Cristo delle meraviglie fino allora ignorate.
Tuttavia, tutti i suoi uditori lo incitavano a scrivere ciò che predicava tutti i giorni, a esporre questo mistero della Chiesa che riempiva la sua vita intellettuale e li entusiasmava. Scrisse degli appunti, e poi altri ancora, lasciò a lungo “dormire” i suoi appunti nelle cartelle, e ancora li riprese di nuovo, li completò. Intraprese la redazione definitiva, ma ancora abbandonò 20 volte, 100 volte questa redazione …
Il primo capitolo è terminato. “Pagine sublimi – ho scritto allora –, ove è esposta con tanta magnificenza l’opera di Dio, soprattutto l’opera della sua misericordia”» (Aux origines de la publication du livre “De l’Église et de sa divine constitution”, in Bulletin CRIC, n. 169, mars 1985, p. 1).
Dom Gréa stava grande al centro di questo evento preparato, di questo atteso incrocio di umano e divino, dono di grazia dall’alto e ascesa dal basso di ricerca, invocazione, desiderio. Le parole erano invito, descrizioni profetiche di grande qualità. Gli uditori erano “embrasés” (infiammati), e soprattutto la sua comunità, nel tempo così differenziata, ogni giorno formata e guidata nell’amore della Chiesa, amava le sue istituzioni antiche, e, fra queste, una che ha voluto rinnovare: l’istituto canonico.
3) Ognuno attratto dentro uno spazio-tempo cosmico, riportato dentro la storia “sacra” che forse prima gli appariva non pertinente o irrilevante, atrofizzata nella ripetitività di rituali e ritornelli, per ritrovarsi responsabile, parte indispensabile di un tutto che non annienta, non fagocita, non omologa, ma che salva e ricrea. Parole vibranti, esperienze di preghiera, di lode, digiuni e penitenza.
Secondo questa concezione pregnante di liturgia, «la forma rituale non è più vuoto formalismo, ma appartiene all’essenza del sacramento perché è in essa che è all’opera l’azione misericordiosa di Dio e in essa avviene lo scambio di grazia tra l’uomo che vive nel tempo e Dio che supera il tempo e lo conduce alla salvezza» (L. Della Pietra, Rituum forma, Padova 2012, p. 326, in un capitolo in cui si parla anche della “lezione pionieristica dei primi padri del Movimento liturgico”).
Analogamente, il concetto di liturgia in Dom Gréa non è limitato al solo aspetto cultuale, ma attinge alla visione simbolica tipica della teologia patristica e dell’ecclesiologia del primo millennio. Ecco come il nostro autore prospetta il compito della Chiesa e della liturgia:
«Così l’incarnazione e la redenzione si diffondono nei canali dei sacramenti, nel battesimo e nella penitenza: e questo Dio incarnato, Gesù Cristo, si propaga e vive in tutti coloro che non rifiutano il dono celeste, si estende e si moltiplica senza dividersi, sempre uno e sempre unendo in lui le molteplicità. Ora, è questa divina propagazione di Cristo che lo sviluppa e gli dona questo compimento e questa “pienezza” (Ef 1,23) che è il mistero stesso della Chiesa» (L’Église, p. 26).[2]
4) Per considerare l’importanza decisiva della liturgia nella comunità di Dom Gréa e in quanti lo seguirono, valga, a nome di tanti preti eminenti di varie diocesi di Francia, l’esempio di Henri Ardouin Duparc (cf. Bulletin CRIC, n. 141, Mai-Août 1976). Egli nasce il 22 aprile 1879 a «Chez-Mouteau», a Charroux. Compie i suoi studi secondari a Poitiers, presso il collegio dei Padri gesuiti. Aveva due zii gesuiti, i Padri Anatole e Léonce de Grandmaison, fratelli di sua madre. … Sognava un ministero parrocchiale in un ambiente povero, di operai, ma unito alla vita religiosa. … Ebbe l’occasione di sentir parlare di Dom Gréa, teologo della Chiesa, promotore della liturgia attiva, che univa una austera vita religiosa ad alcune forme di ministero parrocchiale dipendente dai vescovi.
Decide di seguirlo, e come lui fecero quanti restarono incantati ed entusiasti di Dom Gréa e della sua forma di vita religiosa e pastorale insieme, “scambio di grazia tra l’uomo che vive nel tempo e Dio che supera il tempo e lo conduce alla salvezza”: ecco quanto – riprendendo l’espressione di Della Pietra succitata – continuamente traspare nel nostro fondatore.
5) Lasciamo adesso la parola a Dom Gréa, riprendendo stralci di una sua conferenza del 1894 pubblicata nella Voix du Père:
«Ciò che il Padre dona generando il Figlio suo lo estende fino a noi, e noi entriamo in quest’ordine con la nostra incorporazione a Gesù Cristo. Questo mistero non si completerà se non in cielo, perché qui in terra è “velato”, nascosto, combattuto da ciò che rimane dell’antico Adamo. …
Noi siamo fratelli di Gesù Cristo per un legame altrimenti sostanziale e profondo di quello che unisce i figli di uno stesso padre. Ciò che unisce i figli nell’ordine naturale è l’uguaglianza dell’essere, la stessa educazione, la partecipazione agli stessi diritti e alla comune eredità. Nel nuovo ordine non è solo la somiglianza con Gesù Cristo, ma è Gesù Cristo che è ciascuno di noi. È un vincolo ben altrimenti forte, perché Gesù Cristo stesso è in noi … e il termine che conviene meglio per designarlo è membra di Gesù Cristo. … È la sostanza di questo Figlio che è in noi.
Quali conseguenze per noi?
Non siamo una società di persone riunite per vivere insieme; siamo la famiglia di Dio perché Dio ci comunica la sua propria sostanza. La comunica per mezzo del superiore che è il capo di questa famiglia, è in lui che Dio è Padre e attraverso di lui che diventate membra di Gesù Cristo. Sono io che vi comunico la sostanza di Figli di Dio; ve la dono attraverso la parola, attraverso i sacramenti, nel vivere quotidiano. Il vostro padre qui in terra lo è una volta sola. … Ma io sono vostro padre tutti i giorni perché ogni giorno vi comunico la natura divina. …
L’amore che dovete avere fra di voi deve essere lo stesso dell’amore che avete verso Gesù Cristo. … Voi dovete amarvi come i santi in cielo. … Voi dovete avere una carità soprannaturale di cui lo Spirito Santo è il legame. Voi capite allora come la carità non si limita al solo affetto naturale, buono in se stesso, ma che non basta fra di noi. La carità è un’altra cosa che l’affetto naturale. È l’amore che Gesù Cristo ha per il Padre. Di conseguenza i vincoli che ci uniscono devono essere puri: è la carità rispettosa, gioiosa, illuminante, del cielo» (Dom Gréa, Conferenza sul grande mistero della vita religiosa, Saint Antoine, 6 novembre 1894, in La Voix du Père, pp. 81-83).
5. Per concludere
A ogni svolta della storia lo Spirito Santo offre una guida. A ogni civiltà che sopravviene, dona un maestro incaricato di dispensare la sua luce. La Chiesa ha avuto così S. Agostino, S. Benedetto, S. Francesco d’Assisi, S. Domenico, S. Teresa d’Avila, S. Ignazio, e tutti gli altri. Nella storia della Chiesa Dom Gréa ha scritto una bella pagina, che è certamente la comunità da lui fondata, ma è anche un’opera scritta, L’Église, e le sue conferenze e omelie, dove il genio proprio dell’autore vi si svela in tutto il suo carattere.
Costantemente avvolto nella luce che discende dall’alto, ma nel medesimo tempo ha difficoltà nel trovare le parole che possano descrivere la grandezza del Regno dei cieli. Quando guardiamo a lui non lasciamoci impaurire …
Dom Gréa ha creduto che la vita religiosa del clero pastorale diocesano sia una proposta esistenziale possibile. La nostra presenza ecclesiale e storica come comunità religiosa e sacerdotale non va confusa con la nostalgia delle forme esterne; al contrario, questa presenza ecclesiale in mezzo ai sacerdoti e vescovi che frequentiamo, sappia continuamente ispirarsi al messaggio di Dom Gréa come la Chiesa ce lo ha affidato.
Dedichiamoci allora allo studio, alla preghiera dei testi che fanno parte del nostro patrimonio spirituale e storico. Non commettiamo l’errore di pensare che il Signore non abbia più un compito da affidarci. Al contrario, pensiamo che mai come oggi sia necessario, insostituibile, il messaggio pasquale e profetico del fondatore, quale segno di libertà e di comunione evangelica.
Spunti di riflessioni e domande
1) Per Dom Gréa, la Chiesa è Cristo stesso, in quanto è un dono che procede da Dio, è la plenitudo della missione di Cristo. La Lumen gentium ci ricorda che: «La Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Dal punto di vista dell’ecclesiologia trinitaria ed eucaristica, ci può aiutare anche questa riflessione di Piero Coda: «La comunione con Dio e tra noi non siamo dunque noi a farla: è Gesù che la fa, mediante il dono di sé nella pasqua di morte e risurrezione che si fa presente a ogni tempo e in ogni luogo nell’Eucaristia. Essa è Cristo che, donandosi a noi, ci fa uno con sé e tra noi. Per l’Eucaristia Cristo dimora in noi e noi in Cristo, come sottolinea il Quarto vangelo (cfr. Gv 6,56). E poiché Cristo dimora nel Padre, e il Padre in Lui, anche noi, per Cristo, dimoriamo nel Padre e il Padre in noi. Si realizza così, per l’Eucaristia, la preghiera di Gesù al Padre: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi uno (…). Io in loro e te in me, perché siano consumati nell’essere uno” (Gv 17,21. 23). …
È perché noi partecipiamo, nel pane eucaristico, dell’unico Corpo di Cristo, che noi – sottolinea l’apostolo – diventiamo un solo Corpo in Lui, anzi il suo stesso Corpo. Non sfugga il realismo di Paolo: “Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. (1 Cor 12,12). Come il Corpo di Cristo, che è comunicato nell’Eucaristia, è Cristo stesso, così chi accoglie il Corpo di Cristo diventa Cristo. Paolo, dunque, non considera il corpo come la somma delle membra che lo compongono, ma come il principio d’unità che tiene armonicamente unite le membra tra loro e al tempo stesso fonda la loro diversità in vista del bene comune» (P. Coda, Diventare comunicazione, Una lettura teologica, in Vita monastica 240 (luglio-dicembre 2008), pp. 29. 31).
Sulla stessa linea teologica, si tenga presente il passo de L’Église, pp. 33-34 (citato a p. 2 della nostra relazione) e la conferenza del 9 novembre 1894, dove Dom Gréa si chiede: «Quali conseguenze per noi? Non siamo una società di persone riunite per vivere insieme; siamo la famiglia di Dio perché Dio ci comunica la sua propria sostanza». Come potremmo rispondere oggi a questo interrogativo suscitato dal nostro fondatore? Come ci sentiamo Chiesa? La nostra vita religiosa e pastorale è informata dall’ecclesiologia trinitaria?
2) «Nei suoi scritti e nelle sue conferenze Dom Gréa insiste molto più sulla necessità di non separare l’attività pastorale dalla vita interiore, che non sull’attività pastorale in se stessa. Una delle parole che egli cita e commenta più spesso è quella del suo amico mons. Mermillod sulla “febbre delle opere”, “l’eresia delle opere”, “l’eresia dei nostri tempi”. … Dom Gréa non voleva che: “con l’apparenza di svolgere un ministero, vale a dire di soddisfare ed esibire se stessi”, i religiosi trascurino il servizio divino “come se, essendo il ministero del sacerdote duplice e riguardando il servizio di Dio e il servizio delle anime per ricondurle al servizio di Dio, il servizio di Dio non fosse il primo e il principale”» (F. Vernet, Dom Gréa, p. 210). Queste parole di Dom Gréa di più di 100 anni fa, sembrano echeggiate da un recente intervento di Papa Francesco alle Pontificie opere missionaria (5 giugno 2015): «Davanti ad un compito così bello e importante che ci sta davanti, la fede e l’amore di Cristo hanno la capacità di spingerci ovunque per annunciare il Vangelo dell’amore, della fraternità e della giustizia. E questo si fa con la preghiera, con il coraggio evangelico e con la testimonianza delle beatitudini. Per favore, state attenti a non cadere nella tentazione di diventare una ONG, un ufficio di distribuzione di sussidi ordinari e straordinari. I soldi sono di aiuto - lo sappiamo! - ma possono diventare anche la rovina della Missione. Il funzionalismo, quando si mette al centro oppure occupa uno spazio grande, quasi come se fosse la cosa più importante, vi porterà alla rovina; perché il primo modo di morire è quello di dare per scontate le “sorgenti”, cioè Chi muove la Missione. Per favore, con tanti piani e programmi non togliete fuori Gesù Cristo dall’Opera Missionaria, che è opera sua. Una Chiesa che si riduca all’efficientismo degli apparati di partito è già morta, anche se le strutture e i programmi a favore dei chierici e dei laici “auto-occupati” dovessero durare ancora per secoli».
Quale visione domina la nostra pastorale? Il compimento delle opere di Dio oppure l’opus Dei? (dove Dei è genitivo soggettivo, nel senso che Dio è il soggetto operante).
3) Dom Gréa ci dice che «l’incarnazione e la redenzione si diffondono nei canali dei sacramenti» (L’Église, p. 26). A tal proposito, si tenga presente il bell’articolo di Enzo Biemmi, Iniziazione cristiana: la spia è accesa, in Settimana 34, 4 ottobre 2015, pp. 12-13. In questo testo (allegato come file), l’autore riflette su luci e ombre del rinnovamento dell’IC avviato negli ultimi 15 anni nella diocesi di Brescia, concludendo che non si tratta di cambiare strategicamente un modello, bensì di dar forma a un nuovo volto di Chiesa: «È così che va inteso lo sforzo di rinnovamento dell’IC: come una strada concreta che contribuisce a cambiare il volto della Chiesa, di tutti quindi, non solo dei genitori e dei ragazzi: dei parroci, dei catechisti, dei consigli pastorali, del vescovo e dei suoi collaboratori, delle strutture diocesane centrali ed intermedie».
Quali sono le nostre esperienze in proposito? I sacramenti nutrono ancora la vita divina in noi e nei fedeli noi affidati? Quali tentativi abbiamo in atto per impostare una seria pastorale liturgica?
4) Non si può staccare Dom Gréa e la sua visione liturgica ed ecclesiologica dalla comunità dei canonici regolari, da lui fondata. La nostra vita e preghiera comunitaria ci aiuta a respirare il senso autentico della liturgia e del mistero di Dio? Vista anche l’esigua configurazione numerica delle nostre comunità locali, quali limiti sperimentiamo? Quali miglioramenti ci suggeriamo di apportare? Come rendiamo partecipi i fedeli della bellezza della liturgia della Chiesa?
5) Dice Dom Gréa, parlando ai suoi confratelli: «io sono vostro padre tutti i giorni, perché ogni giorno vi comunico la natura divina» (conferenza del 6 novembre 1894). Viviamo anche noi oggi il carisma e la fatica della direzione spirituale nei confronti dei fedeli? Vi ci dedichiamo con impegno, anche se essa sottrae tempo alle altre attività pastorali? Riconosciamo in alcuni confratelli il carisma della direzione spirituale e di essere “padri” per la comunità CRIC di oggi?
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[1] «Allo stesso modo che una madre spiega al suo bambino il mondo, gli mostra come lo deve vedere, ecc., così la Chiesa appoggiandosi in definitiva sull’esperienza della Madre del Signore, secondo la carne, che era colei che credeva per eccellenza, insegna ai suoi figli la Parola di Dio, trasmette loro in virtù della sua esperienza di madre e di sposa, non solo il senso ma anche il gusto e il sapore, il carattere concreto e incarnato di questa parola» (H. U. Von Balthasar, La gloire et la croix, t. I).
[2] Riferendoci all’insegnamento di Tommaso Federici, auspichiamo il recupero odierno della teologia simbolica, che secoli di razionalismo senza freni ha relegato nel campo del mito e del pensiero primitivo, mentre è la forma stessa della rivelazione biblica, della santa liturgia, del pensiero dei Padre e dei grandi spirituali. Per non parlare della poesia e dell’arte: come comprendere la parola di Cristo senza la teologia simbolica? E i misteri con i quali la Chiesa celebra il suo Signore?
Nel Pensiero di Dom Grea la realtà del domani
a cura di Padre Lorenzo Rossi tratto da riflessioni di R.P. Louis de Peretti, Superiore Generale (1957-1976)dei Can. Reg. dell’Imm. Conc.
Dom Gréa nasce nel 1828, viene ordinato sacerdote nel 1856, muore nel 1917, è un uomo del XIX secolo. Epoca generosa, ma priva di originalità, caratterizzata soprattutto da un’attività di “restaurazione”…con riferimenti storici parziali e spesso inadequati.
Dom Gréa storico, allievo dell’”Ecole des Chartes”, originale nel modo di pensare, si rivela tuttavia mediocre nella sua interpretazione della storia.
E’ un pensatore originale, mosso più da intenti di ordine mistico che storico.
Per lunghi anni meditò sul mistero della Chiesa. La sua opera: “De l’Eglise et sa divine Constitution” è del 1885. Lontano dalle esposizioni dei catechismi e dei libri di teologia del suo tempo, vede la Chiesa non come un’organizzazione, ma un mistero, una sorgente di vita e pertanto la gerarchia risulta non una realtà giuridica, ma una comunione di doni, mistero della presenza di Dio e del suo operare nel mondo.
La costituzione della Chiesa è gerarchica, sia perché istituita da Cristo, sia perché in essa la vita divina è a noi comunicata dai “gerarchi”, dal Sommo Pontefice, Vescovo di Roma, gerarca della Chiesa Universale, segno vivente di unità e vicario di Gesù Cristo; dai Vescovi, sui fratelli, che con lui hanno la responsabilità della Chiesa Universale, ognuno dei quali, però, nella Chiesa particolare rappresenta il Padre, sorgente di vita.
II. Le intuizioni di dom Gréa
Per dom Gréa (ma anche nella realtà…) la gerarchia non è solo un’organizzazione, ma una comunione di doni. Per dom Gréa il Vescovo è l’archetipo perfetto, l’esemplare della Chiesa (particolare) e sorgente di ogni bene.
Le funzioni del Vescovo rimandano ora all’uno ora all’altro di questi aspetti.
a. Nel Vescovo, che possiede la pienezza del sacerdozio, c’è una VOCAZIONE o FUNZIONE CONTEMPLATIVA.
Qualora in una Diocesi, in una Chiesa Particolare non si tenesse in debito conto il carattere contemplativo del sacerdozio del Vescovo, insieme a quello apostolico, questa mancherebbe di qualcosa.
Dom Grèa si chiede se la scomparsa delle Collegiali dei capitoli di Canonici, testimonianza esterna e visibile della vita contemplativa radicata in mezzo agli stessi fedeli, nello stesso tempo non sia la causa e la conseguenza della scristianizzazione del nostro tempo.
b. Altro aspetto della pienezza del sacerdozio del Vescovo: questi è e deve essere un “PERFECTOR”. Il Vescovo, essendo costituito nello stato di perfezione in virtù della sua consacrazione episcopale, ha tra i suoi compiti primari quello di SUSCITARE dei PERFETTI, ed essendo la Chiesa una società, di suscitare dei SOSTENITORI degli STATI di PERFEZIONE.
Il Vescovo ha la responsabilità della santità della sua Chiesa, dei suoi collaboratori e dei suoi fedeli.
Il Vescovo sarà di sprone per i più stretti suoi collaboratori, come anche dei fedeli, perché siano perfetti e abbraccino lo stato di perfezione, la consacrazione piena.
I suoi sacerdoti non dovranno solamente avere lo spirito della Vita Religiosa ( comportandosi il meno possibile da secolari: onori… carriera… beni… regime beneficiario), ma dovranno in quanto tali realizzare lo stato organizzato e organico, sociale, della vita religiosa visibile e istituita.
c. inoltre per Dom Gréa l’EMINENTE VALORE della VITA RELIGIOSA è una ricchezza per i cristiani, ma ancor più per i sacerdoti, stretti collaboratori del Vescovo.
Dom Gréa cita spesso un detto di un canonista francese del XIX secolo: “SAECULARITAS, CLERICIS NON EST PRAECEPTA, SED PERMISSA”. Dom Gréa preferirebbe dire “tollerata”, “appena e deplorevolmente tollerata”, “autorizzata”, “lecita”… e considera la vita religiosa integrale in perfetta sintonia con gli impegni e la missione del sacerdote, ministro del Vangelo e del Corpo di Cristo.
Risulta per lui inconcepibile che uno perché religioso debba lasciare la sua diocesi. Anzi il clero ordinario stesso ha bisogno della Vita Religiosa.
Infatti, la storia, secondo dom Gréa, ci insegna che la prima cristianità di Gerusalemme viveva una vita comunitaria, quella che il Medio Evo chiamerà “vita apostolica”.
Così pure le comunità d’Eusebio da Vercelli, di S. Agostino… del “presbiterio” episcopale, che durante il Medio Evo, costituirà per il Vescovo il suo sostegno, il suo organismo, il suo prolungamento… e che formerà le Comunità di Canonici, prima che, per effetto del rilassamento dei costumi, si arrivi alla divisione dei canonici tra secolari e religiosi (divenendo questi ultimi più o meno degli ordini religiosi distaccati dalla Chiesa Particolare per continuare a vivere)[2].
Per dom Gréa anche nel PRESENTE della Chiesa, come già nel passato, si deve arrivare all’unione tra la vita clericale e quella religiosa.
Per dom Gréa infatti molti sacerdoti pensano – fatto del tutto anomalo – che l’aspirazione alla vita religiosa costituisca un impedimento per lo svolgimento del normale ministero pastorale e dell’essere collaboratori di un Vescovo. I fatti lo dimostrano: il clero religioso normalmente è il clero del Papa, alle dipendenze del Papa; mentre le funzioni della Chiesa Particolare vengono esercitate, in linea di massima, da non religiosi.
Secondo dom Gréa non si deve passare dal fatto al diritto e si auspica quindi che nuovi avvenimenti portino nuovamente in auge, ritornando alla tradizione, il clero religioso del Vescovo e servano così da presupposto per una revisione del Diritto positivo.
Dom Gréa è completamente preso dall’entusiastica visione di un AVVENIRE meraviglioso, le cui premesse sono già nel presente: il clero diocesano, tutto o in parte “religioso”, per opera delle comunità di Canonici Regolari.
Era, infatti, profondamente convinto del ritorno, in un futuro più o meno prossimo, al “presbiterio” (“presbiterio” non “équipe”) con tutte le sue componenti, dove ciascuno operando secondo i diversi gradi del Sacramento, contribuisce al formarsi di una cellula della Chiesa gerarchica, nella Chiesa Particolare, come questa nella Chiesa Universale.
d. Dom Gréa è profondamente convinto che tra i compiti primari del Vescovo ci sia quello di PROMUOVERE la PENITENZA.
Infatti anche la penitenza, come la lode divina, ha un carattere sociale: da qui la sua insistenza sul dovere del Vescovo di promuovere, conservare, difendere il digiuno tra i suoi “perfetti”. La sola penitenza interiore o individuale non può essere sufficiente per la vita e la conversione dei popoli.
III. Una prima valutazione
Essendoci proposti di evidenziare solo le intuizioni fondamentali del pensiero di Dom Gréa ne abbiamo consapevolmente tralasciate altre. Ora non ci resta che presentare alcune considerazioni.
a. Ogni uomo, per necessità di cose, non può che avere, giusta o sbagliata che sia, una visione “PARZIALE” delle cose e pertanto incompleta, cosa ancor più evidente quando si ha a che fare con un uomo di genio.
Dom Gréa va considerato un vero genio religioso. Oggi si direbbe un “profeta”.
Il suo modo di leggere la storia è contestabile e personale. Ma altrettanto incontestabile è il suo amore per la Chiesa, il suo sentire (è la parola esatta) profondo e sagace della Chiesa Particolare, della consacrazione a Dio e dello stato religioso nella vita sacerdotale. Anche se spesso si immerge nella contemplazione di un passato più immaginario e idealizzato che reale, tuttavia rimane l’intellettuale, il teologo, lo spirituale le cui intuizioni possono gettare luce sul presente e sul futuro, senza con ciò pensare alla restaurare in un modo più o meno fedele o archeologico di un Medio Evo da sogno, di pseudo-tempi di una cristianità passata.
b. Il suo pensiero può contribuire a riscoprire e ripristinare il tradizionale modo di considerare la vocazione religiosa nella vita della Chiesa.
Vita religiosa non fatta solo per le donne, per i sacerdoti chiamati a fondare chiese in terra di missione, o a essere di aiuto alle chiese locali (clero della Chiesa Universale), ma per ogni prete, soprattutto per coloro i quali vengono considerati come “la fanteria” della Chiesa, quella radicata sul territorio, il clero diocesano.
c. Tutto ciò è utopia?
Utopista non è colui che sogna una chimera, ma uno che nutre un progetto concreto. Anzi, spesso l’utopia, soprattutto se frutto di una meditazione spirituale e teologica, porta in sé la realtà del domani.
d. Grandi passi in avanti sono stati fatti.
Attualmente i nostri Vescovi francesi non sono più i prefetti in viola dei tempi passati. Sono e vogliono essere la sorgete della Evangelizzazione e della santità dei loro preti e dei loro fedeli. Si escogitano nuove strade per la realizzazione delle aspirazioni comunitarie e religiose: istituti religiosi, istituti secolari, unioni sacerdotali, comunità diocesane, ecc… non si tratta quindi di iniziare dal nulla, anche se molto rimane ancora da fare… e da pensare.
e. Forse per le istituzioni dei Canonici Regolari non è detta ancora l’ultima parola. Non si potrebbe forse pensare che nella loro situazione attuale in parte estra-diocesana o sopra-diocesana (situazione che ha loro permesso di continuare ad esistere per lungo tempo in mezzo a Vescovi troppo secolarizzati: che sono dieci secoli nella storia della Chiesa)? non si potrebbe forse pensare che anche per queste venerabili istituzioni sia arrivato il momento di ripartire su nuove basi, e, qualora se ne presentasse la necessità, forse morire per rinascere su fondamenta più stabili?
Forse con dom Grèa si è solo all’inizio di un discorso che deve protrarsi nella Chiesa e tra gli uomini di Chiesa!
(Il presente articolo è stato pubblicato su “le courrier de Mondaye”, n. 63, 1960, pp.32-35).
[1] Questa è la data riportata nel manoscritto. cf. archivio cric titolo 10/6
[2] Senza dubbio ci si trova di fronte ad una costruzione schematica e idealizzata della storia, ma nostro intento è quello di esporre il pensiero di dom Gréa, non quello personale).
La Chiesa, il grande Sacramento
Padre Lorenzo Rossi
a cura dell'Associazione Culturale Dom Adriano Grea
La Chiesa essendo il punto di incontro di tutti i sacramenti cristiani, è essa stessa il grande Sacramento, che contiene e vivifica tutti gli altri
H. de Lubac
Il vescovo e la vita religiosa
Partendo dal bell’ articolo di P Fouret (tratto dal bollettino dei CRIC 1984 n 168; “Il vescovo e la vita religiosa”). Questo scritto riporta la lettera del vescovo Hamer rivolta a tre vescovi americani per aiutare i religiosi nell’opera di apostolato per vivere una piena vocazione ecclesiale. Hamer rassicura che questo compito non avrebbe inciso né su una diminuzione del ruolo dei vescovi né tantomeno sulla limitazione dei compiti dei religiosi ma anzi ne sottolinea l’importanza sul ruolo di guida dei vescovi e nel far progredire sulla via della santità i loro chierici e religiosi e laici secondo la loro vocazione.
Proprio a partire da questo punto giungiamo al cuore del discorso; Furet dice che il linguaggio espresso dal vescovo Hamer gli ricorda le belle pagine che Dom Grea ha dedicato alla figura vescovo, capo della Chiesa particolare, dove capo” non è solo da intendere capo dell’ organo sul quale è al comando ma come colui dal quale si dirama il corpo della Chiesa: la Chiesa particolare esiste dal suo vescovo, procede da lui, riceve da lui tutta la sua costituzione, riposa su di lui come “ l’edificio riposa sulle sue fondamenta”. “ Il vescovo è lui stesso il Cristo donato( alla Chiesa particolare) per farla nascere e vivere della vita divina”. Il parallelo è davvero stupefacente tra quello che dice Hamer e quello che diceva Dom Grea già un secolo prima…
Nella sua opera principale Adriano Grea espresse pienamente la sua visione della Chiesa. Come esprime Vernet ( riportato da Serentha) negli “ inizi della teologia della Chiesa locale” dire Canonici regolari in Dom Grea “significa introdurre la vita comune e religiosa nel clero ordinario delle Chiese particolari, creando dei preti che siano i religiosi del vescovo, avendo come riferimento le Chiese particolari. Osserva de Lubac in questo testo l’eminente dignità riconosciuta ad ogni sacerdote, le cui funzioni e poteri sono essenzialmente gli stessi di quelli del vescovo (salvo il potere stesso dell’ordinazione). Nel suo sacro ministero il sacerdote cooperatore del vescovo non è il ministro del vescovo; egli è, come il vescovo, ministro di Cristo.La Chiesa universale è certamente superiore alla Chiesa particolare, ma questa assume un ruolo e importante e ben preciso attraverso il vescovo che ha con sé un rapporto intrinseco e ineliminabile con essa. Le Chiese particolari sono nella loro sede il popolo nuovo riunito con lo Spirito Santo, la concentrazione della Chiesa universale che si realizza nelle Chiesa particolari attraverso i sacramenti. Il tutto ( Chiesa universale) in una parte ( Chiesa) particolare)..nell’unità ( “La Chiesa locale Madre dei Cristiani e speranza per il mondo pag 13-14”).Così questa Chiesa non è semplicemente la confederazione di chiese particolari, ma la Chiesa le precede nel disegno divino e comunica ad esse ciò che sono, lungi dal ricevere da esse ciò è lei stessa.
Ecco che Dom Grea ha delineato una nuova ecclesiologia già alla fine dell’800 senza rinnegare la traduzione affinatasi negli anni passati ma precisandola e completandola, ponendosi come un esploratore, pionere il quale purtroppo per le traversie di fondatore dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione non ebbe riconosciuto ufficialmente il suo grande pensiero che già si profilava come un importante tassello degli studi di teologia prima precursore ora estremamente attuale e preziosissimo per il futuro della Chiesa.
"Il vescovo e la vita religiosa" è il titolo di un articolo pubblicato nel primo numero 1984 di " Informationes SCRIS"
Dizionario-ecclesiologia di Dom Grea.pag 13 Spiritualità del presbitero diocesano pag 11-15.
Dom Grea e l’importanza delle Chiese particolari
“ Dio è il capo di Cristo, il Cristo è il capo della Chiesa universale, il vescovo lo è della Chiesa particolare.
Due grandi soggetti da studiare ed in cui sarà diviso questo lavoro, la Chiesa universale e la Chiesa particolare, e al di sopra come tipo e origine che regola tutti i movimenti inferiori, l’eterna società del Padre e del Figlio, da cui la Chiesa procede, in cui ha la sua forma e il suo esemplare a cui è associata e verso cui risale sempre come a suo centro, sua beatitudine, suo compiacimento.
( dom Grea, De l’Eglise)
“ Il vescovo porta a perfezionamento la sua Chiesa formandosi una corona di cooperatori, in essa, per un’ultima comunicazione della missione sacerdotale, si costituirà un ordine di sacerdoti in tutto inferiore all’episcopato, i quali ne partecipano la virtù, ma senza poterla trasmettere..
Sono il senato della chiesa particolare e vi costituiscono quell’assemblea che nell’antichità veniva chiamato presbiterio”
Dom Grea, De l’Eglise
Questo mistero è sublime! Il Figlio è nel Padre come nel suo principio, Il Padre è nel Figlio come nel suo splendore sostanziale. La Chiesa è anche nel Cristo come nel suo principio e il Cristo è nella Chiesa come nella sua pienezza.
Infine la Chiesa particolare è ancora nel suo vescovo come nel suo principio e il Cristo è nella Chiesa come nella sua pienezza, lo splendore del suo sacerdozio e della sua fecondità
Dom Grea, De l’Eglise
Una profezia per la Chiesa
Ecclesiologia
Profondamente intrecciato a questo discorso è la visione di Antonio Rosmini
anche lui pioniere, profeta di una nuova visione della Chiesa.
Rosmini è nostro contemporaneo in tutto, anche nell’anticipare di oltre un secolo, contro ogni uso del passato, la confessione pubblica delle colpe della Chiesa. Strappando il secolare velo dell’ipocrisia, egli confessa, con pietà e amore di figlio, ciò che oscura il volto della sua diletta Madre. Nell’opera Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, ancora oggi di un’attualità pari alla sua sconcertante arditezza, la sua tesi di fondo è che la Chiesa, se non è veramente libera dal potere politico, non può esercitare pienamente il suo ministero di amore e carità. L’autore vuole la Chiesa libera come alle origini “La Chiesa primitiva era povera, ma libera; la persecuzione non le toglieva la libertà del suo reggimento, né pure lo spoglio violento dei suoi beni, pregiudicava punto alla sua vera libertà. Ella non aveva vassallaggio, non protezione, meno ancora tutela o avvocazia”( Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, a cura di A. Valle, Città Nuova Roma 1999, 229)
Oltre a un vivo amore per la Chiesa e una fede salda nella sua divina costituzione, l’opera mostra un’impressionante profondità di visione e una capacità anticipatrice che solo oggi si può pienamente apprezzare. Il teologo roveretano non ipotizzò riforme nella Chiesa , il cui corpo dottrinario è la stessa verità rivelata, come tale irriformabile. Egli parlò di risanamento da certi comportamenti invalsi nella pratica, e non intese neppure rivoluzionare la liturgia dell’epoca, bensì risvegliare lo spirito liturgico nel clero e nel popolo, e questo era per lui il vero rinnovamento della Chiesa “ Quale dannosa ignoranza lo scompaginare quasi mettere in opposizione fra di loro la vita religiosa e la vita sacerdotale, quasi che quella non sia un mezzo e questa un fine! Che perniciosa scissione non cagiona un pensare così stolto da parte nostra tra i sacerdoti secolari e religiosi! Quando la Chiesa in tutti i tempi e con tanti Concilii, i Padri con tanti scritti, i Santi con tanti sforzi, Sant’Agostino massimamente, Sant’Eusebio di Vercelli, San Gregorio Magno, ed altri infiniti cercarono di unire sempre i due stati in uno solo, appunto perché ben videro che la vita sacerdotale aveva stretto bisogno di quelle industrie e di quei mezzi spirituali, di cui religiosi tolgono a far speciale professione*29
La vita religiosa deve essere mezzo per la pienezza e completa efficacia del sacerdozio, e deve essere congiunta a quella pastorale secondo una visione fondata sulla costante tendenza della Chiesa primitiva, che per Rosmini è la vera strada per il rinnovamento del clero:” In Gesù Cristo e negli apostoli erano unite insieme la vita pastorale e religiosa giacchè da una parte essi erano i Pastori della Chiesa, e dall’altra professavano i consigli evangelici, che formano l’essenza della vita religiosa: ed è osservabile altresì come ad una congiunzione così eccellente e desiderabile sia stata sempre rivolta, conformemente al primo modello, la disciplina della Chiesa”*30
Nell’Ottocento l’abate di Rovereto fu il solo a fondare il principio del sacerdozio comune dei fedeli per una comunità ecclesiale unita a Cristo mediante l’unità sacerdotale del clero e popolo. I fedeli non dovevano essere più spettatori passivi, quasi esclusi dalla comunità ecclesiale, tagliati fuori da ogni apporto, ma dovevano essere protagonisti attivi assieme al clero e impegnati nella scelta dei loro pastori:” Il popolo fedele non conviene punto disprezzarsi e considerarsi troppo bassamente: fra di lui non mancano giammai uomini santi, dei prudenti in Cristo, che hanno il senso di Cristo.
Esso popolo è una parte del mistico corpo di Cristo; insieme coi suoi Pastori e incorporato con il suo Capo, egli forma un corpo unico, con il Battesimo e con la Confermazione egli ha ricevuto l’impressione di un carattere indelebile, di un carattere sacerdotale, non già che i fedeli partecipino del sacerdozio pubblico o che abbiano alcuna giurisdizione…ma il semplice Cristiano gode tuttavia di un sacerdozio mistico e privato che gli dà una speciale dignità e potestà e un senso delle cose spirituali. Quindi non solo il Clero gerarchico e non gerarchico, ma anche il popolo cristiano ha certi suoi diritti, vi ha una libertà del Clero, vi ha una libertà del popolo dentro a quei confini che furono prescritti dalla sacra tradizione e dalle leggi della Chiesa: tutti sono liberi in Gesù Cristo”*31
Finalmente e profeticamente Rosmini aveva scoperto il valore del laicato e il suo essere Chiesa a fronte dell’inveterato modo di concepirla soltanto in funzione di clero e gerarchia, valore fatto proprio dal Concilio Vaticano ii e confermato dalla catechesi di Giovanni Paolo II.” La partecipazione e la corresponsabilità dei laici nella vita della comunità cristiana e la loro multiforme presenza di apostolato e di servizio nella società ci inducono ad attendere con speranza un’epifania matura e feconda del laicato.
(Tratto da una “Profezia per la Chiesa”; U. Muratori, ed Feeria, pag 214-216)
29 Conferenze sui doveri ecclesiastici, Sodalitas, Domodossola 1941,59
30 Descrizioni dell’Istituto della Carità, Pane, Casale 1885, 79
31 Lettera a G.Gatti dell’8 giugno 1848, in Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa, 216 ss
32 “ Charitas” 1/1999
8 Annèe n 89 Aout 1939
Dom Grea par Monsegneur Vernet
L’idée de Dom Grèa
E’ il titolo stesso sotto il quale P.Broutin presenta l’opera di Mons. Vernet nella “Nouvelle Revue theologique” Aprile 1939. L’importanza di questo articolo non sfuggirà a nessuno dei nostri lettori specialmente a quelli che hanno una certà familiarità con le altre questioni della teologia e della mistica. Malgrado alcune riserve che può richiamare,questo articolo del sapiente professore della Scuola Apostolica di… (Belgio) è tutto intero in onore del nostro Venerato Padre e del suo stimatissimo biografo.
Il nome di Dom Grea non evoca senza dubbio di ricordi molto precisi presso un buon numero di lettori, coloro che non lo conoscono se non per “sentito dire” collocano la sua opera a un saggio di vita religiosa a comune, a un movimento di riforma e di perfezione iniziato nel clero pastorale si conclude in un nuovo istituto religioso. Coloro che hanno percorso i suoi libri si ricordano di un trattato sulla Chiesa che non ebbe un grande successo o? di un opuscolo sulla “ La santa liturgia” che farebbe pensare a un altro “Dom Gueranger”.
Per gli stessi che hanno conosciuto la sua persona la sua opera rimane qualcosa di strano nel suo destino “ signum cui contradictum” “ Un segno che è contraddetto”.
A leggerlo si direbbe un “profeta del passato” che vede nella sua contemplazione di testi e di canoni antichi la figura ideale della Chiesa e che nella sua ardente devozione fatta di ammirazione quanto di ricordi storici, cerca e trova una sintesi che non può riferirsi a un gran numero.
A vederlo agire lottare e “ morire ancora radice” si direbbe un profeta dell’ avvenire’ sollecitato nelle aspirazioni contemporanee che tenta di realizzare secondo la tempra del suo spirito, del suo cuore e del temporaneamente vigoroso.
Una cosa è certa non fu l’uomo del suo tempo.
La sua formazione di autodidatta a l’Ecole des Chartes a Parigi come a Roma, il suo sguardo fisso sul passato-un’anima di antenato,un’anima del medioevo-
La sua non conoscenza dell’evoluzione delle Congregazioni romane sotto Pio X lo gettarono in una prova analoga a quella che subirono S.Alfonso de Liguori, S.Giuseppe Calasanzio e tanti altri fondatori e fondatrici.
Malgrado la venerazione dalla quale era circondato, malgrado quarant’anni di esperienza, i suoi tentativi di realizzazione integrale dell’ideale intravisto sono stati disconosciuti. Non è la primitiva regola, è un controprogetto, da lui respinto ( rifiutato) che Roma ha accettato, allontanandolo dal governo del suo Istituto.
“ Amen” ha detto il Santo ritirandosi nella solitudine e nella preghiera ,consolato dalle simpatie di Dom Chataurd,dagli incoraggiamenti ostinati del Card Sevin e più ancora forse dall’accoglienza che le sue idee trovavano presso il Card. Mercier.
Sono passati venidue anni dalla sua morte. E fino ad oggi non avevamo altro che la biografia del Canonico Grevy. Scritta nel 1917 (Lione).
Appena dopo la morte del Rev.mo Padre questo libro brochure dal tono così giusto e di un testimone così fedele non poteva fissare per l’avvenire se non i tratti essenziali di un’opera e di un destino straordinari. E’ dovuto all’onore di Mons.Vernet di aver messo in piena luce questa “figura potente e complessa”. Si può seguirlo con confidenza in un racconto dove i fatti esteriori come i pensieri dei cuori sono riportati con fedeltà,tatto, rilievo e visibile simpatia.
Aveva grande merito a farlo; il compito era difficile. Dopo trent’anni, gli avvenimenti sono ancora molto dolorosi per le persone. Lealmente del resto malgrado le sue pagine di bibliografia,malgrado la sua competenza particolare negli avvenimenti ecclesiastici del XIX, il dotto professore dell’università di Lione ci avverte nella sua prefazione che la sua prefazione non è completa.
Era necessario usare con discrezione dei documenti di famiglia che gli sono stati affidati; non ha potuto attingere ad altre fonti che costituiscono l’interesse e la ricchezza e non pretende di aver fatto di ogni ? opera completa e definitiva.
Ciò non di meno ha composto un libro che si impone. Ha attirato gli sguardi a una grande figura religiosa del XIX secolo: e va bene.
Fa pensare e spinge rivedere più da vicino l’opera scritta di Dom Grea: è forse di un’importanza più immediata. A chi vorrà conoscerla meglio non c’è che da riprendere in mano il libro “L’Eglise et sa divine Constitution”
Tutto il segreto di Dom Grea,tutta la sua anima,tutta la sua “idea” visione sta in questo libro così sostanziale,così sintetico, così pio. Sta agli uomini di chiesa riscoprire “ questa miniera ineusaribile di ricchezze teologiche” il cui valore ha per garanti giudici così competenti come altrettanto differenti,come Mons d’Hulot, il canonico Didiot, il cardinale Didiot, il cardinale Billot, il cardinale Mercier.
La vita scritta da Mons. Vernet darà coraggio ai ricercatori,
Non indietreggeranno davanti alle imperfezioni della forma ( Mons De Segur che ebbe in mano le bozze diceva che “la toilette del libro non era fatta”) .
I punti discutibili della sintesi storica, il senso accomodante di alcuni testi della Sacra Scrittura o di Patristica. Senza rendere tutto sistematico, ma con penetrazione,andranno diritti alla tesi.
All’inizio stupefatti si abitueranno all’idea che il trattato della Chiesa deve essere in continuità con quello della Trinità e che il punto di inserzione sono le missioni divine.
La grande originalità di Dom Grea nella sua sintesi del dogma è di collocare su queste assemblee mistiche e sociali i fondamenti di tutta la gerarchia e di ripensare il trattato della grazia sotto il suo aspetto sociale. Nella sua concezione della vita soprannaturale, spiega che per risalire nel seno del Padre, noi siamo in gestazione del senso di una Madre e che per riprende la sua visione nella forma, di un teologo più moderno, il Rp Congar “ la Trinità e la chiesa è veramente Dio che viene da Dio e che ritorna a Dio portando con lui e in lui la sua creatura umana. E’ veramente questa la sua alta dottrina che invece di concludere con l’inabitazione delle Tre persone” non è forse l’insegnamento della Santa Scrittura …
Sono le missioni visibili e inseparabili del Messia e dal Santo Spirito che sono il pegno e il segno delle missioni invisibili e inseparabili che richiamano grazie, virtù, dono del Santo Spirito
Propos sur le traitè de l’eglise
C’era nello spirito di Dom Grea un armonioso contrasto: era un ammiratore appassionato dell’antichità e d’altra parte seguiva con molto interesse il movimento teologico del suo tempo. L’ex allievo de “ L’ecole de chartes” che aveva studiato la sua teologia negli scritti dei Padri, calando ogni tratto nel suo contesto storico che l’aveva fatto nascere, aveva appena allora assistito al Concilio Vaticano I ove aveva studiato tutte le questioni che si erano dibattute in qualità di teologo di Mons Nogret.
Questo doppio amore e interesse si esprimeva nella sua anima in un amore profondo per la Santa Chiesa, questa “ umanità assunta nella società della SS Trinità” perché è “ plenitudo Christi”.
Poteva permettersi dei punti di vista originali che piacciono al lettore senza per questo dare occasione ad equivoci, perché i suoi sentimenti e le sue riflessioni non si sottraggono mai a un profondo rispetto filiale e senza condizioni per la Santa Chiesa.
( Introd.cap II par III e Libro I cap. II; III, IV)
Molti dei concetti che contiene il trattato della Chiesa, erano presentati in forma nuova nel 1885, e sono sati largamente sfruttati e studiati da allora; altri hanno meno richiamato l’attenzione, restano tuttavia suggestivi. Fra i passaggi più salienti del trattato, che rivela il pensiero che ha animato la vita e l’opera di Dom Grea, conviene richiamare alla nostra attenzione il meraviglioso inizio di questo studio che si fa con l’esposizione delle Gerarchie: la prima è nei cieli comunicazione del Padre a suo Figlio nel seno della Trinità, è la generazione eterna mediante la quale il Padre genera il Verbo comunicandogli eternamente la sua divinità e tutti i suoi attributi.
Comprende altresì la missione con la quale il Padre estende la sua generazione divina nel tempo unendo Suo Figlio alla natura umana.
La seconda gerarchia è la comunicazione del Cristo alla sua Chiesa nell’episcopato conforme all’insegnamento di S. Paolo “ Caput Christi Deus” ( 1 Cor. XI 3). Quindi Christus caput Ecclesiae ( Ef V,23).
La terza gerarchia è la comunicazione del Vescovo alla Chiesa particolare.
E nell’insondabile altezza della Trinità che procede la nostra Chiesa ed è sul modello delle relazioni divine e della vita divina che viene edificata la Nuova Gerusalemme. Siamo un poco sorpresi di non trovare il posto del Papa in quel bell’edifcio gerarchico. Lo zelo infallibilista del Vaticano I potrebbe aver permesso tale dimenticanza? No certamente. Si tratta solamente di conoscere in Dom Grea la teoria del “ Vicario” non occupa nella gerarchia una scala a parte, ma esercita il potere si colui che rappresenta; e del quale è, per esprimerci l’organo esecutore. La sua autorità non è distinta da quella del capo. L’autore della tesi sugli arcidiaconi aveva studiato a fondo questa questione e ne era rimasto penetrato da questa unione intima del vicario con Colui che rappresenta.
( Libro II Cap I par I e libro II, Cap X par II).
Allora l’autorità del Papa, presentata sotto questo punto di vista come vicario di Gesù Cristo, appare nella sua forza un’armonia senza paragoni e fa vedere sotto una nuova luce il rapporto fra Papa e vescovi. Il pontificato di S Pietro non appare come un grado nuovo nella gerarchia. Il Papa come vescovo è uguale ai suoi fratelli nell’Episcopato. Ma Gesù Cristo lo costituisce Suo Vicario, cioè Gli dona tutta la sua autorità.
Si aggiunge quindi al Vescovo una nuova autorità, è il Vicario di Gesù Cristo.
E’ lo stesso Gesù Cristo. Il Papa non per questo è un super vescovo ma è Gesù Cristo in mezzo ai suoi vescovi come lo fu alla Cena in mezzo ai Dodici.
( libro III, cap 12)
Altro sentimento e intuizione presso Dom Grea era la sua devozione verso l’Episcopato. Si scrive molto sulla dignità del Vescovo, Dom Grea ha un modo squisito di esprimere la sublime visione del Vescovo al capitolo II del libro III. Vi si noterà una bellissima descrizione della preghiera della Chiesa, che fa parte della missione santificatrice del Vescovo è per questo che la preghiera del Vescovo ha una così grande forza.
( al § II del cap II) ( Libro I, Cap VI § V fine)
Nei nostri giorni appare e si impone l’idea che la Parrocchia deve essere missionaria cioè non deve occuparsi esclusivamente dei fedeli, ma anche della conversione degli scristianizzati. Dom Grea l’aveva scoperto quando osservava la missione di Evangelizzazione e di Colui che converte è primordiale nel vescovo: “ Il Vescovo di una chiesa particolare prima di essere pastore dei fedeli è dottore degli infedeli, e coloro che non sono ancora sottomessi al suo pastorale, non sono ancora entrati nell’ovile mediante la rigenerazione sacramentale,gli appartengono a titolo del suo magistero come al loro dottore e a Colui che deve istruirli”.
Vi è in queste righe il fondamento dogmatico dell’insegnamento sul ministero missionario.
E più avanti (T II pag 145 libro III cap XI prope finem) Dom Grea esprimendo il suo desiderio il ritorno alla povertà apostolica, e una vera vita comunitaria nel seno della Chiesa notava che si adoperava la vita religiosa nelle missioni, ma perché non si usa dappertutto perché il mondo intero non è oggi che un vasto campo di missione. E per rinnovarlo propone lo spirito apostolico nel clero diocesano.
Continuando la lettura del suo trattato dopo la missione del vescovo che noi abbiamo ricordato si trova una buona descrizione del presbiterato nella quale esprime come la grandezza del sacerdote sia nella sua unione col sacerdozio del vescovo e nella sua essenziale dipendenza nei suoi riguardi. Altrove Dom Grea annoterà come segno di questa unione beneficante la concelebrazione nella quale l’azione dei sacerdoti ben lungi da essere diminuita era nobilitata, ingrandita e resa più gradita a Dio.
( Libro III, cap V § 5)
( Libro II cap IX pag 207)
Non teme di esprimere delle idee molto originali riguardo al potere dei vescovi. Così dopo aver esposto come abbiano un vero potere di insegnare nella chiesa universale, afferma che esercitano questo potere non solamente nel Concilio, ma anche nella “ dispersione”. Ogni volta che il Vicario di Gesù Cristo dà delle istruzioni al mondo il vescovo non le riceve passivamente, ma vi aggiunge l’esercizio della propria autorità in unione e in dipendenza di quella del Vicario di Gesù Cristo.
I vescovi ricevendo e seguendo i decreti che vengono emanati dal sommo Pontefici uniscono alla loro obbedienza l’azione della loro autorità, e fanno in modo che tutte le leggi che emanano dal Capo quantunque abbiano per la loro autorità propria tutta la loro forza tuttavia divengono tali anche a causa delle misteriose cooperazioni della gerarchia,l’opera comune dell’autorità episcopale.
( Libro II cap X § 4)
In relazione sempre con l’autorità dell’Episcopato troviamo questa interessante opinione riguardo al dono dell’apostolato. Dom Grea pensa che tutto il potere apostolico di evangelizzazione e di fondare le Chiese,anche se fosse conferito ad ogni apostolo da Gesù Cristo stesso, è sempre dipendente da San Pietro e dai suoi successori, come sarebbe avvenuto con Gesù stesso se fosse rimasto sulla terra.
E questo potere d’apostolato secondo Dom Grea, faceva del resto parte dell’Episcopato, ed è stato trasmesso integralmente ai Vescovi. Solamente le modalità di esercizio di questo potere hanno variato secondo le circostanze o per intervento di Colui che è il Vicario di Gesù Cristo.
Riduce così l’apostolato personale e intrasmissibile degli Apostoli ai doni miracolosi quali la confermazione in grazia il potere di fare dei miracoli,l’ispirazione,le rivelazioni, l’infallibilità e il valore eccezionale della loro testimonianza.
( Libro II cap. VI T 1° pag.160)
Sarebbe interessante seguire attraverso i secoli accanto all’azione del Sommo Pontefice, la storia del Presbiterio romano, noi lo vedremmo di età in età sempre uguale nella sostanza “ povero e venerabile senato di Cristo” come lo chiama S. Pio I nella metà del II secolo, divenire questo imponente e regale Consiglio qual è oggi il Sacro Collegio dei Cardinali.
( Libro III cap IX T. 2° pag 88)
Verso la fine della sua opera, Dom Grea parla della vita religiosa. Al cap IX del libro III delinea un’immagine entusiasta della bellezza delle Chiese particolari in generale; le vede come astri di cieli nuovi, dei focolari ardenti di vita soprannaturale. Vi fa una dichiarazione che tutti forse non condivideranno, cioè che la Chiesa cominciò con la vita religiosa. Ma ci domanderemo come lo dimostri; infatti e da alcuni documenti della tradizione sui quali si appoggia e ai quali si potrebbe aggiungere nel libro II cap X par 2 post medium T.1° pag 215 T 2° pagg 96.
Nello stesso cap IX del libro III al § 2 . Dom Grea incidentalmente si oppone all’opinione che riguarda la vita religiosa come incompatibile del ministero diocesano. Afferma che nell’antichità la disciplina religiosa era incoraggiata,raccomandata e più o meno strettamente praticata più o meno in tutte le chiese al punto che il semplice nome di clericus sia bastato a disegnarla nei primi tempi senza una qualifica particolare. Questo sarebbe la giustificazione della dottrina di S Pio V sullo stato dei “ Canonici Regulares qui ab apostolis origine duxerunt” ultimi resti di questa religione primitiva del clero “ Canonici Regulares, qui in primaeves ecclesiae saeculis clerici nonminabantur”. Ma questa questione era troppo importante perché l’autore si accontentasse di questo breve accenno. La tratterà con più ampiezza a pag 147,159 Libro III cap XII § 1-2-5-6.
(Libro III cap XI par 4 T. 2° pag 127)
Un po’ più tardi troviamo un resoconto così chiaro quanto lo permette la concisione alla quale l’autore si attiene. Il tono è triste e doloroso. Si assiste alla trasformazione dei capitoli regolari ove tutti i “ Chierici Religiosi”, i Canonici, conducevano presso le loro Chiese, una vita fraterna, attiva e raccolta, ora riuniti all’ufficio divino che costituiva una sorgente di vita spirituale, ora nell’esercizio del ministero pastorale che si distribuivano come lo fanno ora i sacerdoti in equipe, ora nello studio e nella lettura. Tutto questo scompariva,la forza del clero e la bella unità morale ne risultavano molto diminuite e le nostre cattedrali cessavano di essere degli alveari operosi e centri di vita spirituale raggianti di esempio e prendevano l’esempio maestosamente solitario che conservano tuttora. Dom Grea ha il cuore gonfio per tutto questo e gli sfugge a volte come un lamento: “ Le ricchezze della chiesa diventano causa di indebolimento per l’azione sacerdotale quando diventano le ricchezze del sacerdote. Col regime dei benefici il sacerdozio non diventa forse una carriera onorevole e remunerativa ove si inseguono vantaggi umani?” E a questo punto l’Autore amava spesso ripetere che “ la paternità non è una carriera e non si conoscono in essa degli avanzamenti.”
Per finire ricordiamo il bel quadro della vita religiosa descritta al cap XII del libro III. Dom Grea aveva restaurato un Ordine nel quale la clericatura è la base, perché i Canonici Regolari sono essenzialmente clero pastorale destinato alla cura delle anime. Ma questo nel contesto obbligato della vita religiosa, dal momento che i Canonici Regolari sono quella parte del clero diocesano che aggiunge al celibato a alla promessa di obbedienza l’integralità della vita religiosa alla quale ha rinunciato il clero secolare.
Dom Grea amava molto la vita religiosa, ma la voleva molto rigorosa ( esigente). Per esempio ripeteva spesso che un religioso non poteva esitare a sacrificare la sua vita se l’obbedienza lo domandava.“ Figli miei noi non abbiamo fatto voto di vivere, ma di obbedire.”
E’ anche per questo che Dom Grea ebbe tanta predilezione per il Padre Giraud de la Salette il quale predicava sempre lo spirito di sacrificio e l’ideale di “ Ostia” come l’ideale del prete.
Così nel capitolo XII noi troviamo delle vere ricchezze il nostro autore comincia con una bella spiegazione teologica e ascetica della vita religiosa in seguito alla quale ci dona un breve sommario della Storia della vita religiosa. Al par IX tratta più a fondo della confusione troppo generalizzata tra “clero secolare” e “clero gerarchico “o diocesano e conclude che il clero titolare e il clero diocesano potrebbe molto bene abbracciare la vita religiosa sotto la direzione del suo vescovo senza decadere dalla sua incardinazione alla diocesi e al suo ministero,ma piuttosto trovandovi il più prezioso sostegno per la sua santità. Osserviamo ancora alla fine del paragrafo X, questa osservazione che i canonici regolari, spesso nel corso della storia per salvaguardare le loro osservanza si erano più o meno ritirati dal servizio pastorale delle anime e avevano anche formato delle grandi Congregazioni maggiormente dedite alla contemplazione e allo studio piuttosto che al ministero delle anime. Così queste si avvicinavano molto all’istituto monastico. Ma le simpatie dei Fondatori dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione sono riservate a quei Canonici Regolari che erano chierici di una chiesa e esercitavano il ministero delle anime sia nei priorati rurali sia nelle collegiali della città. E’ solo quando il regime beneficiario ebbe rotto l’armonia e il vigore degli antichi capitoli regolari, che il diritto canonico giudicando i capitoli secolari incapaci di adempiere al ministero pastorale delle anime che li obbligò ad attribuirlo ad un vicario ( can.402).
Un giorno un giovane seminarista diceva a Dom Grea che aveva cominciato a leggere il Trattato della Chiesa ma che questa lettura gli era parsa troppo difficile e che ci aveva rinunciato. Dom Grea non rimproverò per nulla il suo interlocutore per la sua leggerezza, ma gli rispose sorridendogli: “Caro amico, non sarà forse perchè avete intrapreso questa lettura in maniera sbagliata? Ditemi per dove avete incominciato? “
“ O Padre mio ho cominciato dall’introduzione”
Bene rispose Dom Grea “ Ecco l’errore, la prossima volta cominciate dal libro dodicesimo capitolo terzo e vedrete che andrà meglio.”
Il giovane seminarista seguì il consiglio e iniziò a gustare l’insegnamento di Dom Grea.
Liturgia...immergiti in questo bagno di gloria, di certezza, di poesia.
Porre la liturgia al centro della vita della Chiesa non è affatto nostalgico, ma al contrario è la garanzia di essere in cammino verso il futuro.
Paul Claudel
La Santa Liturgia in Dom Gréa – a cura di P. Lorenzo Rossi, cric
1. La liturgia nel mistero della Chiesa
L’opera centrale della vita canonica è la liturgia. Così diceva S. Tommaso d’Aquino dei Canonici Regolari: proprie ordinantur ad cultum divinum.
Dom Gréa tiene fermamente a questa consegna. Nella sua opera, La Sainte Liturgie, parla successivamente dell’ufficio divino, della Messa, dei tempi, delle persone e dei luoghi consacrati a Dio:
«Dio è lode e canta in se stesso, nel segreto della sua vita, un inno eterno, che non è altro se non l’espressione stessa delle sue perfezioni nel suo Verbo e il soffio del suo amore. Quando nella sua sapienza e bontà ha creato l’universo, egli ha donato come un’eco a questo cantico eterno. … È alla creatura razionale, fatta a sua immagine, che egli affidava l’incarico di presiedere a questo concerto. … Il Cristo è il Figlio di Dio: essendosi unito alla sua Chiesa l’ha introdotta in Lui nell’eterna alleanza del Padre e del Figlio. Con ciò le concede non più di ripercuotere come un’eco lontana il cantico che è in Dio, ma ve l’associa sostanzialmente, la penetra e l’anima tutta intera del suo Spirito» (La Sainte Liturgie, Paris 1909, pp. 1-2).
La preghiera della Chiesa: ecco il canto di lode che è al di sopra di ogni altra preghiera. La Chiesa prega incessantemente: essa compie precisamente il precetto di nostro Signore, sine intermissione orate.
«La lode perenne si eleva sempre dalle sue labbra. La Chiesa offre, innalza a Dio la preghiera per eccellenza, il sacrificio dell’Eucaristia, e l’ufficio canonico ne costituisce lo sviluppo e il completamento» (cf. La voix du Père, luglio 1947, p. 9).
Questa mistica liturgia non vale se non è sostenuta da una rigorosa ascesi, da uno spirito eroico di sacrificio. È la tradizione dei digiuni e delle astinenze monastiche che Dom Gréa voleva restaurare. Così lui si esprime:
«A questo ministero liturgico, che è il primo di tutti i ministeri, per conservargli la sua identità si deve unire il mistero della penitenza, che è essa stessa un ministero riguardante l’Agnello immolato, al quale essa unisce i suoi membri e il popolo per cui essa si offre in perpetua intercessione» (A. Gréa, L’institut des Chanoines Réguliers, articolo in Le Prêtre 1907, p. 7).
Come la liturgia, la penitenza ha prima di tutto un carattere sociale:
«Noi digiuniamo per la Chiesa, noi rappresentiamo la Chiesa, la nostra penitenza è quella della Chiesa … nessun (santo) ha potuto realizzare una parrocchia senza la penitenza» (La voix du Père, luglio 1947, p. 9).
Questa abnegazione evangelica è la nota più innata della spiritualità di Dom Grèa, così come è la caratteristica della sua vita. Come molti fondatori ha vissuto per la Chiesa, soffrendo per essa e nella prova è stato fedele alla “vocazione” che il Signore gli ha affidato.
La Chiesa è un mistero e … al centro (del suo mistero) c’è il mistero dell’Eucaristia. Ecco perché Dom Gréa riserva un posto così grande alla liturgia.
Il Concilio Vaticano II ha voluto particolarmente ritenere due aspetti dell’opera De l’Église, due aspetti che vogliamo segnalare: la partecipazione attiva dei fedeli che – dice Dom Gréa – è loro diritto, e la concelebrazione della quale per lungo tempo la Chiesa romana ha dato l’esempio. Ma, in realtà, tutta la vita della Chiesa è come una grande liturgia e mai questa verità appare con più evidenza/splendore come nella celebrazione dell’assemblea conciliare (cf. H. de Lubac, La Croix, 20 novembre 1965). Così si esprime Henri de Lubac, presentando l’opera De l’Église et de sa divine constitution:
«Quando all’altare secondo l’antica disciplina il vescovo offre il suo sacrificio assistito dalla corona del suo presbiterio e tutti i preti concelebrano con lui, il vescovo, che è il prete principale, consacra efficacemente; la parola che pronuncia basta al mistero, e tuttavia tutti i preti consacrano in piena verità con lui e le parole che essi pronunciano hanno tutto il loro effetto senza portare alcun detrimento alla pienezza dell’azione del vescovo loro capo.
Al Concilio similmente c’è fra il vicario di Gesù Cristo e i vescovi come una concelebrazione mistica e la definizione divinamente infallibile del dogma, perché come il medesimo Gesù è donato agli uomini nella divina Eucaristia, così la parola e la verità di Dio è trasmessa anche con l’insegnamento della fede».
Osserva de Lubac in questo testo l’eminente dignità riconosciuta ad ogni sacerdote, le cui funzioni e poteri sono essenzialmente gli stessi di quelli del vescovo (salvo il potere stesso dell’ordinazione). Nel suo sacro ministero il sacerdote cooperatore del vescovo non è il ministro del vescovo; egli è, come il vescovo, ministro di Cristo. In anticipo rispetto al Concilio Vaticano II, Dom Gréa non manca di mettere in rilievo l’ordine dei diaconi che «hanno presso i vescovi un ministero di preparazione e di assistenza» (De l’Église, p. 325) e che paragona agli angeli del Signore. Non dimentica il ruolo che nella Chiesa era svolto dai laici e che appartiene sempre normalmente all’«ordine laico» – così come Dom Gréa definisce il ministero dei laici –, cioè al popolo fedele tutto intero (cf. De l’Église, p. 353 ss.). Un altro merito dell’opera di A. Gréa è di mostrare il posto dello stato religioso nella Chiesa. Anche su questo punto Dom Gréa anticipa il Vaticano II, il quale nella Lumen gentium dedica a ciò l’intero capitolo VI.
Così si esprime Dom Gréa: «lungi dall’essere un accessorio superfluo, lo stato di vita religioso è al contrario ciò che vi è di più sostanziale e di più completo nella realtà vitale della Chiesa. … È talmente dell’essenza della Chiesa, che è naturalmente “incominciato con essa, o piuttosto è lei, la Chiesa, che ha cominciato con questo stato di vita” (S. Bernardo). Quando Pietro dice a Gesù: “Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”, fa allusione a un gesto che li strappava dal mondo».
2. Il mistero della Chiesa per Dom Gréa
La visione rigida di una Chiesa monarchica e universalistica cominciava a sgretolarsi grazie ad una conoscenza più rigorosa delle fonti bibliche e al grande apporto del movimento liturgico, che sarebbero stati di fatto all’origine del rinnovamento conciliare. Contro l’idea che la Chiesa fosse il frutto di una perfetta costruzione giuridica, ovvero l’espressione più compiuta della legge divina, andava sempre più affermandosi la convinzione che l’evento cristiano è un’attualizzazione del mistero stesso di Dio che si è reso presente nella vita, morte e risurrezione di Gesù, attualizzazione che avviene ogni volta di nuovo nella celebrazione liturgica. Non si tratta dunque di un’iniziativa umana, di un frutto dei nostri sforzi organizzativi, bensì un autentico e libero dono di Dio da accogliere e vivere nello stile della gratuità e della docilità.
Chiesa mistero, Chiesa popolo di Dio
Parlare di Chiesa come mistero, significa porre al centro l’azione potente di Dio, alla quale guardare per attingere il senso più autentico della missione come discepoli di Cristo.
Il mistero del popolo di Dio che è la Chiesa (cf. Lumen gentium, capp. II e III):
«Il popolo di Dio è un concetto assolutamente decisivo, in pratica scomparso dalla visuale dogmatica già nell’epoca patristica, in specie poi nel medioevo. Era stato riscoperto solo dalle “quattro fiaccole” del 1800, ossia il tedesco J. Adam Möhler (1796-1838), l’inglese John Henry Newman (1801-1890), l’italiano Antonio Rosmini (1797-1855) e il francese Dom Marie Étienne Adrien Gréa (1828-1917), che hanno spianato la strada alla riacquisizione del sec. 20°» (T. Federici, Cristo Signore risorto amato e celebrato, Palermo 2001, p. 46).
In Dom Gréa la Chiesa locale:
«è basata non su una sua comprensione come semplice circoscrizione ecclesiale, ma come la realizzazione piena e concreta del mistero della chiesa “in un luogo”. In questo si percepisce senza dubbio la rivalutazione della teologia dell’episcopato e della relazione tra chiesa ed eucaristia, nonché quella delle testimonianze patristiche iniziali, soprattutto di Ignazio di Antiochia. Suppone, inoltre, un grande correttivo all’ecclesiologia della chiesa universale, diventata egemonica nel corso del secondo millennio ecclesiale» (S. Pié-Ninot, Ecclesiologia, Brescia 2008, p. 352).
Scrive Dom Gréa a p. 68 del De l’Église:
«L’episcopato è uno, la sua autorità nella Chiesa universale è essenzialmente la proprietà comune del collegio episcopale tutto intero, ed è nella qualità di membri di questo collegio che i vescovi l’esercitano». È «uno e semplice, non è posseduto in parti», «è tutto intero ricevuto per mezzo della consacrazione episcopale» e «sussiste uguale in tutti i vescovi, tutto intero in ciascuno come un bene solidale e indivisibile».
«Il suo potere esercitato in maniera ordinaria, non solamente nelle assemblee, ma anche nell’incontro meno importante che i vescovi dispersi sempre uniti nella reciproca dipendenza e sotto l’impulso del loro capo, si prestano senza interruzione per il mantenimento della fede e della disciplina» (De l’Église, p. 225). Ciascuno di loro per questo deve essere nella «comunione gerarchica» con il successore di Pietro: è questo il termine che il Vaticano II userà. Dunque per Dom Gréa ogni vescovo partecipa di diritto ai concili ecumenici. Gesù Cristo ha fatto dei suoi apostoli «dei dottori della Chiesa universale ancor prima che avessero iniziato a formare il gregge nelle loro chiese particolari».
Così questa Chiesa non è semplicemente la confederazione di chiese particolari, ma la Chiesa le precede nel disegno divino e comunica ad esse ciò che sono, lungi dal ricevere da esse ciò è lei stessa. Di più: come l’episcopato è tutto intero in ogni vescovo, così la Chiesa universale è tutta intera in ognuna delle chiese.
Nell’opera di Dom Gréa l’idea di gerarchia e di ordine sacro sono descritte non in opposizione agli aspetti istituzionali e più precisamente gerarchici, ben al contrario è l’idea di gerarchia, di ordine sacro che domina la sua sintesi (cf. la prefazione di L. Bouyer al De l’Église). Di questi aspetti ci dà una visione così profonda e vivente che appare subito che la gerarchia ben compresa, lontano dal comprimere elementi viventi della Chiesa, è ciò che dona loro, assieme alla loro coerenza esteriore, la loro continuità intima e spirituale.
Dom Gréa ci invita in effetti ad una contemplazione della Chiesa. Ci parla costantemente del «mistero» della sua vita. Sa mostrare la Chiesa nel suo rapporto con la Santa Trinità, una Chiesa che proviene dal Padre e vi ritorna per mezzo di Gesù Cristo, animata dallo Spirito.
L’esposizione delle gerarchie (cf. De l’Église, Capp. II. V. VI. VIII).
La prima gerarchia è nei cieli comunicazione del Padre a suo Figlio nel seno della Trinità, è la generazione eterna mediante la quale il Padre genera il verbo comunicandogli eternamente la sua divinità e tutti i suoi attributi. Comprende altresì la missione con la quale il Padre estende la sua generazione divina nel tempo unendo suo Figlio alla natura umana.
La seconda gerarchia è la comunicazione del Cristo alla sua Chiesa nell’episcopato, conforme all’insegnamento di S. Paolo, Caput Christi Deus (1 Cor 11,3); quindi Christus caput Ecclesiae (Ef 5,23).
La terza gerarchia è la comunicazione del vescovo alla Chiesa particolare. È nell’insondabile altezza della Trinità che procede la nostra Chiesa ed è sul modello delle relazioni divine e della vita divina che viene edificata la nuova Gerusalemme (Da alcune note manoscritte del 1903 di P. A. Duparc, discepolo del fondatore).
Così si esprime Dom Gréa:
«Attraverso questo mistero ammirabile delle processioni e delle assunzioni nell’unità che è il fondamento delle gerarchie, come c’è una circumincessione del Padre e del suo Figlio (Gv 14,10), c’è una circumincessione del Figlio e della Chiesa universale (Gv 14,20): “In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi”. Ciò che ci fa dire anche del vicario di Gesù Cristo, perché egli tiene il posto del capo: “Dove è Pietro, là è la Chiesa” (S. Ambrogio). Infine c’è una circumincessione del vescovo e della Chiesa particolare, ciò che fa dire a S. Cipriano: “Voi dovete capire che il vescovo è nella Chiesa e la Chiesa nel vescovo” (ep. 66,8: PL 4, 406).
Quanto è sublime questo mistero! Il Figlio è nel Padre come nel suo principio; il Padre è nel Figlio come nel suo splendore consustanziale. La Chiesa è anche nel Cristo come nel suo principio e il Cristo è nella Chiesa come nella sua pienezza. Infine la Chiesa particolare è ancora nel suo vescovo come nel suo principio, e il vescovo è nella sua Chiesa come nella sua pienezza, nel suo splendore, l’irraggiamento del suo sacerdozio e la sua fecondità» (De l’Église, p. 73).
La Chiesa dalla Trinità
Siamo di fronte al cuore della rivoluzione conciliare. L’affermazione forte del primato dell’iniziativa divina e proprio per questo la straordinaria riscoperta della prospettiva trinitaria, della storia della salvezza … Un popolo che vive continuamente della chiamata di Dio … La Chiesa è il primo momento dell’esperienza cristiana, il momento sorgivo della nostra stessa fede. Non avremmo niente, liturgia parola testimonianza fede, se non avessimo la Chiesa. La comunità di Gesù precede tutto, precede la stessa gerarchia, gli stessi carismi: io credo perché qualcuno mi ha parlato di Gesù Cristo; posso leggere la Bibbia perché qualcuno prima di me l’ha ricevuta, custodita e trasmessa; posso celebrare la messa perché ripeto i gesti di coloro che li hanno compiuti prima di me … in una parola, la comunità cristiana è il grembo di tutta l’esperienza di fede, di tutto il cristianesimo. E se la Chiesa è grembo germinale della fede dei credenti, essa a sua volta non è altro che l’immagine e il frutto del grembo trinitario da cui la Chiesa ha origine. È quanto la Lume gentium descrive nei primi felicissimi numeri, nei quali viene evocato il mistero della Trinità che agisce nel cuore della storia: l’arcano disegno di sapienza e di bontà del Padre, a noi rivelato attraverso la missione del Figlio che ci ha mostrato la grandezza dell’amore di Dio e ha fondato la Chiesa, la quale è santificata e continuamente rinnovata per mezzo dell’azione dello Spirito. È così che al n.° 4 Lumen gentium potrà concludere: «La Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (cf. A. Andreini, Il risveglio della Chiesa, in Feeria 43, marzo 2013, pp. 43-44).
Dalla tesi di licenza in teologia dogmatica di P. Clemente Treccani:
«Uso della Scrittura citata
Alla conclusione di questo capitolo (il III cap., n.d.r.) è bene trattare come Dom Gréa amava e citava la Sacra Scrittura. Si premette quanto dice in proposito F. Vernet, a p. 247 della sua biografia su Dom Gréa:
“Pour l’Ecriture il eut un véritable culte. Il la lisait entièrement chaque année. Il en avait une édition en plusieurs volumes, lui permettant d’emporter, dans ses voyages, la partie qu’il avait à lire durant son absence. Aussi possédait-il parfaitement la parole de Dieu. Il en connaissait, non seulement le texte, mais encore le sens profond, et il parlait d’expérience quand il disait à ses fils que la Sainte Ecriture s’explique par elle-même.”
Abbiamo qui sintetizzato tutto il materiale di studio. Per citare la Sacra Scrittura, bisogna prima leggerla. Il Gréa, veramente, deve aver amato molto la Scrittura tanto da leggerla ogni anno. Quanti sacerdoti, religiosi, uomini di Chiesa sanno leggere ogni anno tutta la Scrittura? Io per primo, figlio di Dom Gréa non l’ho ancora seguito in questo esercizio. Il suo biografo parla di “un véritable culte”. Non ho ancora appurato quali siano state le Bibbie usate dal Gréa, ma ciò che più è importante è che egli “possédait parfaitement la parole de Dieu”. Se è figlio del suo tempo per una certa ampollosità di espressione, per una lettura poco critica nel senso delle attuali scienze bibliche, d’altra parte è un profondo conoscitore, e dai Padri ha imparato a commentare “la Scrittura con la Scrittura” stessa. E questo è un pregio. Basta vedere i passi che cita. Egli è completamente preso dal Mistero, e perciò ascolta per lasciarsene riempire. Nell’ascolto egli penetra nel mistero della misericordia e della bontà divina. All’ascolto segue l’incarnazione, cioè nella preghiera liturgica. Il Gréa vive la parola di Dio specialmente come lode. A questo proposito basta leggere i cap. 2º e 3º de La Sainte Liturgie, pp. 4-24, per rendersi conto della sua venerazione per la Sacra Scrittura. Ma non è una venerazione disincarnata, bensì una “liturgia” continua che adora il Mistero divino celato e svelato nelle Scritture. Così, nei suoi scritti, il Gréa non fa una scelta posticcia della Scrittura, ma una cernita ben accurata e pertinente. Fa emergere il testo biblico per dare così un fondamento biblico alle sue meditazioni sulla divina costituzione della Chiesa. Con alla mano la tabella delle citazioni, ci si accorge subito del tipo della sua scelta. A p. 11 de La Sainte Liturgie egli dice:
“La matière des lectures ecclésiastiques est d’abord la Sainte Ecriture; et dans la Sainte Ecriture, la dignité la plus haute appartient à l’Evangile; puis viennent les écrits apostoliques du Nouveau Testament et le livres de l’Ancien Testament”.
Si è notata l’abbondanza delle citazioni da Giovanni e da Paolo. Ora se il suo studio è di prevalente carattere dogmatico, ciò non toglie che il Gréa vi ha premesso prima una valida base biblica, pur con i mezzi limitati della sua epoca. Il movimento biblico era appena iniziato. Quanto detto finora è degno di nota. É vero che il Gréa fu chiamato il teologo della Chiesa, specialmente dell’episcopato, della Chiesa particolare. Ma è anche vero, grazie anche alla sua profonda conoscenza dei Padri, che se ne scopre un’altra qualità: la solida base scritturistica ne l’Eglise et sa divine constitution, che ancora interpella e sprona ad una maggior “intelligenza” della Parola di Dio. Proprio per la dinamicità di essa, noi possiamo contemplare la “divina economia”, cioè il mistero della santificazione operato in Cristo» (La “Divine economie” in Dom Adrien Gréa, Roma 1980, pp. 84-85).
La santa liturgia secondo Dom Gréa – II parte, 13 maggio 2015
(a cura di P. Lorenzo Rossi, cric)
Il solo studio della visione del mondo in un mistico e in ogni uomo diviene rivelatore, per la scelta che implica, della sua finezza di spirito, della profondità del suo pensiero, della ricchezza del suo cuore, dell’intensità della sua scelta di vita (engagement) e più ancora della forma e del grado stesso della sua unione a Dio.
Come il nostro fondatore ha vissuto e pensato il dogma, la storia del cristianesimo, il vangelo, occorre ritrovare la sintesi unica e vivente che egli è riuscito a realizzare.
L’ambiente in cui si muove il Gréa si delimita nel clima romantico della prima metà del secolo scorso, nel quale egli guarda al passato cristiano con interesse e simpatia. Nutre quindi un forte interesse per il mondo cristiano antico e medioevale (cf. C. Treccani, Tesi di licenza, p. 15). Egli sogna una Chiesa che nel presente vede incapace di ritrovare il vigore e lo spirito da cui era animata nel passato. Negli anni degli studi parigini si impegna nello studio della patrologia e della storia ecclesiastica. Si appassiona per le Institutions liturgiques di Dom P. Guéranger.
Di conseguenza per Dom Gréa la Chiesa è ecclesìa: essa comprende il popolo, abbraccia l’umanità, attrae a sé anche le cose e il mondo intero. In tal modo essa acquista l’ampiezza cosmica dei primi secoli e del medioevo.
La figura della Chiesa come si presenta ne L’Église
Nelle epistole di S. Paolo agli Efesini e ai Colossesi l’immagine della Chiesa acquista una forza tutta nuova. Sotto la guida del suo capo, Cristo, la Chiesa comprende «tutto quello che sta in cielo, in terra e sotto terra» (cf. Fil. 2,10). Nella Chiesa tutto è legato a Dio: gli uomini, gli angeli e le cose. In essa comincia fin da ora la grande rinascita «alla quale tutta la creazione anela» (cf. Rom. 8,19 ss.).
Questa unità è proprio quella che L’Église descrive, negli stessi termini che ottanta anni dopo avrebbe usato la Lumen gentium. La riflessione di Dom Gréa comincia dal “mistero” della Chiesa, un termine che presso il nostro autore indica il mistero trinitario e la sua espressione, il suo compimento nella storia dell’umanità per mezzo della Chiesa (cf. Bulletin CRIC, n. 170, juin 1985).[1]
Nella misura in cui diveniamo una cosa sola con Cristo ci avviciniamo al Padre; e lo Spirito Santo, Spirito di Gesù, è la guida e ci indica la via. Egli dona la grazia di Cristo, insegna la verità di Cristo, rende operante l’ordine di Cristo. Questa è la legge che fa organica la vita cristiana: la legge della SS. Trinità (cf. R. Guardini, Il senso della Chiesa, Brescia 20072, pp. 24-26).
G. Fontaine, CRIC, La vita liturgica dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione
I. Nella vita e nell’opera di Dom Gréa.
La liturgia è stata il cuore della vita e dell’opera di Dom Gréa. La vita comune e religiosa che il restauratore della vita canonicale in Francia desidera mettere in onore in seno al clero diocesano è una vita fondamentalmente basata sulla liturgia. Nella sua conferenza indirizzata al Capitolo dei priori (2 aprile 1902), Dom Gréa afferma:
«Fra i compiti ai quali i Canonici Regolari possono dedicarsi secondo il fine della loro vocazione, viene in primo luogo, per la dignità e l’eccellenza, il culto divino».
Nel suo trattato L’Église et sa divine constitution, il cap. 35 è consacrato allo stato religioso. Dom Gréa scrive nei riguardi dei Canonici Regolari:
«Sono chierici per essenza, ci dice S. Tommaso, mentre i monaci lo sono diventati “per accidens”. Nota 39: S. Tommaso, Secunda secundae q. 189, a. 8: “La religione dei monaci e quella dei Canonici Regolari si rapportano l’una e l’altra alle opere della vita contemplativa e, fra queste opere, le principali sono la celebrazione dei santi misteri, alla quale è direttamente ordinato l’ordine dei Canonici Regolari, che sono essenzialmente dei chierici religiosi (‘Quibus per se competit ut sint clerici religiosi’). La religione dei monaci, al contrario, non comporta necessariamente la clericatura (‘ad religionem monachorum non per se competit ut sint clerici’)”. Cf. Dom Morin, osb, L’idéal monastique et la vie chrétienne des premiers siècles, Maredsous 1944, pp. 134-135; A. M. Henry, o.p., Moines et chanoines, in La Vie Spirituelle 80 (1949), pp. 60-61».
Dom Delaroche, il suo successore alla testa dell’Istituto scriveva qualche mese dopo la morte di Dom Gréa:
«Si può dire che tutta la sua vita e quella che intendeva donare all’istituto fondato da lui non era altro che la vita liturgica elevata alla sua più alta espressione. Penetrato come era dell’eccellenza della preghiera della Chiesa, Dom Gréa vedeva nell’Ufficio divino, l’opus Dei, la prima cosa, la più importante, nella quale non potevano prevalere mai né gli studi, né le relazioni, né le opere. Così con quale fedeltà eroica la praticava in tutta la sua vita, e quale importanza e tempo gli dedicava nel suo istituto!» (Dom Gréa, La vie et les arts liturgiques, juillet 1917, pp. 385-387, citato in F. Vernet, Dom Gréa, pp. 195-196).
La parola di Dom Gréa era la più persuasiva delle iniziazioni alla liturgia, sia nel corso che impartiva ai suoi religiosi sia nelle negli incontri familiari che spesso riguardavano questioni liturgiche.
Questo fervore si ritrova nel suo libro La Sainte Liturgie, pubblicato nel 1909. Molti argomenti sono stati raccolti da conferenze tenute da Dom Gréa a St. Claude e in seguito nell’abbazia di St. Antoine. «Né completo, né definitivo, questo libro rimane sempre istruttivo e ricco: dona l’intelligenza del culto divino, aiuta a seguire l’evoluzione liturgica, e fa bene per gli slanci di una mistica tradizionale» (F. Vernet, p. 136).
«La preghiera liturgica è il più eccellente omaggio che possiamo rendere a Dio …» (Dom Gréa): così i redattori del Proprium liturgiae horarum ad usum Confoederationis Canonicorum Regularium S. Augustini hanno avuto la felice idea di far leggere, all’Ufficio delle letture, il 17 settembre, nella memoria dello spagnolo Pietro d’Arbués, la maggior parte della prefazione della Sainte Liturgie di Dom Gréa. Il titolo di questa lettura riprende, del resto, una delle frasi più ricche di questa prefazione.
Il tempo sacro
La Sainte Liturgie, libro III, cap. 1, Paris 1909, p. 53:
«Il tempo è la misura delle opere di Dio fuori di se stesso: le abbraccia tutte nell’eternità e le ordina nel tempo, secondo i disegni della sua sapienza e bontà. Questi disegni si compiono con la manifestazione della misericordia nel suo Figlio, il Verbo incarnato, immolato, glorificato, che unisce al suo sacrificio ed eleva nella gloria tutti gli eletti, cioè la Chiesa sua cara sposa.
Quaggiù la Chiesa, scelta e associata a questi misteri, percorre il tempo che la conduce all’eternità, e per il culto che rende a Dio, celebra nel tempo e misura nella successione del tempo quello che rimane immutabile nell’eternità. Guigo il certosino ci mostra in questa successione del tempo un inno che Dio, cantore sapientissimo, canta a se stesso con una melodia che passa attraverso suoni ordinati in modo vario per dargli tutta la sua bellezza (cf. Guigonis Carth. PL CLIII, 607).»
In questo libro Dom Gréa offre fra l’altro spunti di ottima teologia liturgica, che conferiscono al libro stesso una freschezza e attualità sorprendenti.
Il terzo libro della Sainte Liturgie comprende sei capitoli e descrive i tempi consacrati a Dio. Il tempo, con le feste che lo scandiscono, permette un contatto vitale con i misteri della redenzione, che nella liturgia sono riproposti con il carattere di eventi attuali (cf. Ibidem, pp. 57-65).
La riforma del Vaticano II ha cercato, non senza difficoltà e limiti, di recuperare la “sensatezza” del tempo liturgico (cf. R. Guardini, Lo spirito della liturgia, I santi segni, Brescia 1996, p. 72), fedele al principio di eliminare dalla celebrazione liturgica quegli elementi meno corrispondenti all’intima natura della liturgia (cf. SC 21), senza tuttavia negare un legittimo mutamento di quegli aspetti, che «nel corso dei tempi possono o addirittura devono variare» (SC 21).
Questa attenzione alla “sensatezza” del tempo liturgico (cf. SC 88) è l’elemento decisivo per giungere a quella «celebrazione piena, attiva e comunitaria» (SC 21), che normalmente viene sintetizzata come “partecipazione attiva”. La liturgia non può essere compresa senza riferimento al tempo, dato che essa è descrivibile come un succedersi temporale di azioni simbolico-rituali (cf. M. Ferrari, Segno di fedeltà. Il celebrare nel tempo dei suoi tre «ritmi» fondamentali, in Vita monastica 232 (ottobre-dicembre 2005), pp. 34-37).
Tutti sappiamo che c’è un modo di celebrare il mistero di Cristo nell’arco della settimana, che ha nella domenica il suo fulcro, così come tutti conosciamo che il mistero di Cristo si celebra nel corso dell’anno liturgico, il quale si struttura nei vari cicli e tempi liturgici, e ha il suo cuore nel Triduo pasquale.
Esiste un ritmo giornaliero che nella Liturgia delle ore trova il suo modo proprio di espressione. Il primo libro della Sainte Liturgie, in cinque capitoli, è dedicato all’Ufficio divino, «la consumazione e il fine di tutte le cose». Il Gréa rileva che l’Ufficio divino, così come ogni lettura proclamata nella liturgia, è per il popolo e in vista del popolo.
Il secondo libro tratta della S. Messa; è diviso in due parti che comprendono tre capitoli. La Messa è il centro di tutta la liturgia. Essa rivela il mistero della Chiesa, il mistero dell’unità del sacerdozio di Cristo comunicato al vescovo, magnificamente espresso nella concelebrazione, mistero dell’unità della Chiesa espresso attraverso la partecipazione dei ministri e del popolo (cf. La Sainte Liturgie, p. 49). Per Dom Gréa la partecipazione del popolo e dei ministri alla liturgia è necessaria affinché la celebrazione liturgica raggiunga pienezza di significato.
Eucaristia e liturgia
L’eucaristia al centro della vita trinitaria che scende da essa, mediante essa, e sgorga come sorgente di acqua zampillante per la vita che non muore nella storia degli uomini. Nell’eucaristia Cristo si fa realmente presente e si dona alla Chiesa sua sposa (cf. Ef. 5,25 ss.). Donando il suo corpo, egli dona se stesso alla sua sposa e realizza così il “mistero grande” delle origini, iscritto nella creazione dell’uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio uno è trino: «e i due saranno una carne sola» (Gen. 2,24; Ef. 5,31). La comunione con Dio e tra di noi, non è opera nostra, ma è Gesù a realizzarla, mediante il dono di sé nella Pasqua di morte e risurrezione, che si fa presente a ogni tempo e in ogni luogo nell’eucaristia. Per l’eucaristia Cristo dimora in noi e noi in Cristo, come sottolinea il quarto vangelo (cf. Gv. 6,56; cf. P. Coda, Diventare comunicazione. Una lettura teologica, in Vita monastica 240 (luglio-dicembre 2008), p. 29).
Così si esprime Dom Gréa parlando dell’eucaristia:
«Fermiamoci a considerare questo ordine di meraviglie.
Il centro di tutti i sacramenti è il sacrificio di Gesù Cristo perpetuato nella santa eucaristia: l’eucaristia è il sacramento per eccellenza, e lei ne porta per eccellenza il nome nel linguaggio del popolo cristiano; tutto si rapporta a lei» (L’Église et sa divine constitution, p. 92).
La potenza della preghiera
«Il Signore ci dice: “Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, voi lo otterrete» … «“Io non dico che pregherò il Padre per voi, perché vi ama”. Quale consolante dottrina nostro Signore ci ha insegnato! Noi siamo amati da Dio. Sì, e talmente amati che noi siamo il motivo dei suoi disegni. È per noi che ha creato il mondo. È per noi che ha disposto tutti gli avvenimenti. Quale provvidenza non è stata necessaria per condurci attraverso i secoli fino alla piccola goccia d’acqua del battesimo che ha bagnato la nostra fronte per portare fino al nostro cuore il seme della nostra vocazione. Vedete cosa c’è voluto!» (Dom Gréa, 29 aprile 1894, in Bulletin CRIC, n. 148, nov. 1978)
Alcuni giudizi su Dom Gréa, ecc.
1) «L’ecclesiologia di Dom Gréa presenta due aspetti caratteristici: da una parte il superamento di una visione della Chiesa puramente apologetica, esteriore; dall’altra il “centramento” sulla Chiesa particolare» (cf. M. Serentha, p. 40).
2) «Se la Chiesa intera è chiamata a vivere nella gioia della Gerusalemme celeste la povertà, la castità, e l’adesione perfetta e definitiva alla volontà di Dio, la vita religiosa nella sua concezione ideale è “nel tempo presente un inizio e anticipazione per qualcuno di questo stato comune a tutti gli eletti nell’eternità”. (Dom Gréa, L’Église et sa divine constitution, p. 449). E la Chiesa intera ha sempre bisogno, nel suo pellegrinaggio, di avere sotto gli occhi questo anticipo» (H. de Lubac, sj, Un œuvre longuement mûrie, in Bulletin CRIC, n. 94, mai-juin 1966, numéro spécial).
3) «Se crediamo che la vita religiosa sia una proposta esistenziale perenne, non possiamo permettere che la nostra presenza ecclesiale e storica sia confusa con ciò che è caduco, con ciò che è legato a forme culturali passate, le quali potrebbero compromettere l’essenza pasquale e profetica come “segno” di libertà e di comunione evangelica» (B. Calati, Prospettive per l’oggi, in AA.VV., Monaco: uomo di comunione, Parma 1984, pp. 146-147).
Per concludere… la Pasqua per Dom Gréa
Pasqua – Il mistero delle sante donne al sepolcro (Bulletin CRIC, n. 193, mars 1991, pp. 1-2)
Dom Gréa amava questo “mistero” estratto da un antifonario manoscritto dei Canonici Regolari di Besançon, perché egli sapeva, ben prima che la preghiera accompagnata da gesti diventasse alla moda, che tutto il corpo ha il suo ruolo da compiere nella “santa liturgia”.
Aveva voluto che questo “mistero” fosse rappresentato alle prime luci dell’alba di Pasqua, prima del canto del mattutino. Molti di noi lo hanno fatto per anni all’Ecluse, sia come ragazzi, sia come diaconi. Il nostro bollettino del tempo pasquale ce ne propone il testo oggi: sarebbe davvero un peccato se si perdesse.
Al mattino di Pasqua il coro è nella penombra. Seduti sul gradino ai due angoli dell’altare, due diaconi con il camice bianco: gli “angeli” al sepolcro. Tre ragazzi, con il camice bianco – uno portando un turibolo, gli altri due tenendo una palma – sono le donne che vogliono recarsi a ungere con oli profumati il corpo morto di nostro Signore.
I ragazzi vanno vicino al padre superiore che benedice l’incenso e quindi vanno in fondo al coro e per tre volte intonano, crescendo di una nota a ogni ripresa, il loro canto pieno di speranza e di preoccupazione:
«Chi ci rimuoverà la pietra dall’ingresso del sepolcro?»
Sono giunti vicino all’altare, quando i due “angeli” li interpellano:
«Che cercate nel sepolcro, o discepoli di Cristo?»
I ragazzi: «Gesù di Nazareth, colui che è stato crocifisso».
Gli angeli: «Non è qui: è risorto come aveva predetto. Andate, annunciate che è risorto!»
Tornati verso il coro i ragazzi lanciano grida di gioia pasquale: «Alleluia, il Signore è risorto!»
Tutti si danno allora il bacio pasquale, dicendo: «Il Signore è risorto, Alleluia!»
Così gli occhi vedevano, le voci cantavano, il corpo esprimeva sentimenti diversi.
Drammatizzazione eloquente e semplice, che permetteva una comprensione più profonda della “santa liturgia”. Una “religiosità popolare” di valore. È così che Dom Gréa amava vedere i suoi figli impregnarsi in profondità del senso liturgico.
[1] Il titolo originale dell’opera di Dom Gréa era: “Du mystère de l’Église e de sa divine constitution”, cambiato poi dietro suggerimento del card. Caverot, suo direttore spirituale, nel titolo attuale (cf. Bulletin CRIC, n. 170, juin 1985, Aux origines du traité de l’Église).
Il filo d’oro che è proposto come linea interpretativa della Lumen Gentium è «La Chiesa e il suo mistero». Mistero è il disegno di Dio nella storia: mistero nascosto dall’eternità che progressivamente ci è comunicato in Cristo Gesù. Al centro non c’è la Chiesa, ma il disegno di salvezza di Dio a favore dell’uomo e della creazione, realizzato ‘una volta per sempre’ in Cristo Gesù. Essa non è dunque il Regno di Dio, ma costituisce «il germe e l’inizio» di esso (cf. LG cap. 1). Contemplare la Chiesa non più sotto il profilo della societas perfecta, ma sotto la categoria biblica di “mistero” significa progettarla nell’orizzonte della SS. Trinità. È ciò che il trattato L’Église di Dom Gréa ha anticipato ottanta anni prima della LG.
Al Concilio Vaticano II, Mons. Jenny, in un intervento, così si esprime, rivolgendosi ai Padri conciliari: «Noi vogliamo dunque parlare del mistero della Chiesa e dei sacerdoti. Un autore di grande rilievo, il fondatore in Francia dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, il Padre Adrien Gréa, ha trattato di questo argomento e, in un certo senso, è stato profeta del nostro Concilio in un libro intitolato “De l’Église et de sa divine constitution”» … «Ciò che il Cristo ha fatto lui stesso a suo tempo, oggi continua a compierlo per mezzo del vescovo nella sua Chiesa particolare: proclama il vangelo, celebra la morte del Signore e la sua risurrezione, edifica come Chiesa il popolo di Dio».
L’immagine di “popolo di Dio” è qualificante per descrivere il mistero della Chiesa. Da un lato, infatti, questa immagine dice il primato di Dio – Abbà – che convoca attorno a Gesù nel soffio del suo Spirito gli uomini e le donne (cf. P. Coda, La Chiesa e il suo mistero. La lezione di Lumen Gentium, in Vita monastica 247 (gennaio-marzo 2011), p. 31), e dall’altro essa esprime l’uguale dignità di essi tutti, come figli nel Figlio, di cui unico è il Padre e unico il Maestro e Signore.
La santa liturgia secondo Dom Gréa– III parte, 6 ottobre 2015
(a cura di P. Lorenzo Rossi, cric)
1. Introduzione
Ci introduciamo nel tema, prendendo le mosse da alcuni sintetici giudizi formulati su D. Gréa:
1) P. Henri A. Hardouin Duparc: «Dom Gréa dichiara fin dall’inizio che il suo intento non è quello di imitare i teologi che nei loro trattati hanno descritto l’autorità della Chiesa, la sua amministrazione, la sua forma di società perfetta. Con molto talento, vuole invece iniziare a descrivere, per quanto è concesso alla nostra intelligenza umana, il mistero della costituzione della Chiesa, in quanto è un dono che procede da Dio stesso, per mezzo del suo Cristo; e così comprendere come la Chiesa viene a essere il completamento e lo sviluppo (S. Paolo dice la plenitudo) della missione di Cristo. Questo completamento della missione del Cristo non è distinto dalla persona stessa del Cristo: infatti il compimento della sua missione è la sua unione con l’elemento umano. È che egli venga ad abitare in questa Chiesa, o meglio nelle anime dei discepoli. Dal momento che bisogna ben ammettere che è proprio là il fine della sua missione di Figlio di Dio venuto sulla terra per operare il riscatto e la sovrabbondanza, la copiosa redemptio – grande è presso di lui la redenzione, Ps 129,7 – che dal peccato ci rende figli di Dio. “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, …” (Gv1,12; cf. D. Gréa, L’Église, p. 81)».
2) H. de Lubac: «Dom Gréa ci invita a una “contemplazione” della Chiesa, ci parla costantemente del suo “mistero”, del “mistero della sua vita”, ce la mostra nel suo rapporto con la Santa Trinità, Chiesa che proviene dal Padre e vi ritorna diretta dal Cristo e animata dallo Spirito Santo. Ma questa visione mistica è quella di un organismo molto ben strutturato che si sviluppa visibilmente nella storia».
3) L. Bouyer, Préface a L’Église, p. 7: «La “Chiesa” di Dom Gréa non sviluppa questi aspetti in opposizione agli aspetti istituzionali e più precisamente gerarchici. Al contrario è l’idea di gerarchia e di ordine sacro che domina la sua sintesi. Ne dà una nozione così profonda e vivente da far capire subito che la gerarchia ben compresa, lungi dal comprimere gli elementi viventi della Chiesa, è ciò che loro dona, insieme con la loro coerenza esteriore, la loro continuità intima e soprannaturale».
2. Chiesa dalla Trinità e gerarchia
Pensare la Chiesa e pensarsi Chiesa nella prospettiva di Dom Gréa e in seguito del Vaticano II significa non più partire da una sorta di fondazione avvenuta una volta per tutte, non solo considerare una societas che viva fedelmente un compito che le è stato assegnato.
La Chiesa è invece il primo momento dell’esperienza cristiana, il momento sorgivo della nostra stessa fede. Non avremmo niente – liturgia, Parola, testimonianza – se non avessimo la Chiesa. La comunità di Gesù precede tutto, precede la stessa gerarchia e gli stessi carismi. La Chiesa è nostra madre perché ci dà il Cristo. Essa genera in noi il Cristo e ci genera a sua volta alla vita di Cristo. Ci dice, come Paolo ai Corinti: «Vi ho generato per mezzo del Vangelo in Cristo Gesù» (1 Cor 4,15).[1]
La comunità dei credenti, a partire dalla prima comunità cristiana nel fervore della sua fede e del suo amore, ha costituito l’ambiente apportatore dello Spirito che suscitò gli evangelisti, capace di conservare inalterato il dogma nel suo rigore e nella sua semplicità. Ha saputo la Chiesa conservare la fede e trasmettere il culto del suo Signore: «Senza la Chiesa il Cristo svanisce, o si frantuma, o si annulla» (P. Teilhard de Chardin).
La comunità cristiana è grembo germinale della fede dei credenti, essa a sua volta è l’immagine e il frutto del grembo trinitario, da cui la Chiesa ha origine. È quanto Lumen gentium descrive nei primi numeri, nei quali viene evocato il mistero della Trinità che agisce nel cuore della storia (cf. A. Andreini, Il risveglio della Chiesa, in Feeria 43, marzo 2013).
L’arcano disegno di sapienza e di bontà del Padre, a noi rivelato attraverso la missione del Figlio, che ci ha mostrato la grandezza dell’amore di Dio e ha fondato la Chiesa, la quale è santificata e continuamente rinnovata per mezzo dell’azione dello Spirito Santo. È così che al n. 4 Lumen gentium potrà concludere: «La Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Dom Gréa nell’Église così si esprime: «In Dio c’è gerarchia perché c’è unità e numero. … È la società eterna del Padre e del Figlio che riconduce e dona il Figlio al Padre e in questa società la processione sostanziale del Santo Spirito che la porta a compimento. Ecco che questa gerarchia divina e ineffabile si è manifestata all’esterno nel mistero della Chiesa. Il Figlio nell’incarnazione, inviato dal Padre, è venuto a cercare l’umanità per unirla e associarla a Lui. È così che la divina società è stata estesa fino all’uomo e questa estensione misteriosa è la Chiesa. La Chiesa è l’umanità abbracciata, assunta dal Figlio nella comunione (società) del Padre e del Figlio. Per mezzo del Figlio vive in questa comunione e ne è tutta trasformata, penetrata e circondata: “la nostra comunione è col Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo” (1 Gv 1,3). La Chiesa non porta solamente in sé le tracce dell’ordine come ogni opera di Dio, ma la realtà stessa della gerarchia divina e precisamente la paternità divina e la filiazione divina, il nome del Padre e il nome del Figlio, vengono a lei e riposano in lei» (pp. 33-34).
Fondamentale per Dom Gréa è questo concetto teologico di gerarchia, che ritorna anche parlando della “Terza uscita di Dio”, ossia del mistero dell’incarnazione: «Vi è qui in effetti la manifestazione suprema di Dio e per comprenderla bene consideriamo che Dio nelle sue opere manifesta i suoi attributi, e in questa manifestazione vi è come un progresso e una gerarchia, un ordine stabilito e seguito» (L’Église, p. 21).
3. Triplice potere conferito alla gerarchia
Dom Gréa approfondisce la propria riflessione sulla gerarchia e sul potere a essa conferito nel Cap. IX de L’Église (ed. Casterman, pp. 88-107), che qui presentiamo, in parte traducendo le parole dell’autore, in parte riassumendo.
Prestiamo attenzione al significato che assume il termine gerarchia per non fermarci all’esteriorità di un potere ridotto agli aspetti giuridici. È importante invece «considerare qual è l’oggetto proprio ed essenziale del potere che costituisce le gerarchie o, se si vuole, quale è l’azione vitale diffusa in esse e che le anima. Noi vedremo nella sua essenza il potere che è nella Chiesa, un potere di insegnare, di santificare e un potere di governare» (L’Église, p. 88).
a. Potere di Cristo
«La gerarchia è depositaria di un potere ricevuto da Dio, che si articola in essa nei diversi membri. Qui c’è la sua essenza e la prima nozione da tenere ben presente. Questo potere è il principio attivo che mette in gioco tutti i suoi organi, si estende così dal centro in tutte le parti, come attraverso tanti canali, per portarvi movimento e vita.
Quale è dunque quanto al suo soggetto la natura di questo potere che Dio ha posto nella Chiesa, o, se si vuole, quali sono le attività incessanti che costituiscono questo potere e la vita di questo grande corpo in ogni suo grado?
Eleviamo i nostri pensieri fino alla sorgente stessa, ed entriamo ancora una volta nella contemplazione del mistero di Cristo che esce dal seno del Padre e porta con sé tutta la vita della sua Chiesa. “Dio è il capo di Cristo” (1 Cor 11,3), e questo vuol dire che Cristo “è da Dio” (Gv 8,42) e riceve da Dio (Gv 16,15). …
Verbo eterno del Padre suo, Egli è la sua parola e la sua verità. Essere da lui, significa ricevere da lui; essere da lui la sua parola, vuol dire ricevere da lui la sua parola. In questa parola, egli riceve ogni parola che viene da Dio, perché tutte le verità particolari sono contenute nella verità unica che è lui stesso. Ed è per questo che egli dice a suo Padre, parlando della sua Chiesa: “Le parole che tu mi hai donato, io le ho a mia volta donate loro” (Gv 17,8), come se si trattasse di più parole; e ancora “loro hanno custodito la tua parola” (Gv 17,6), parlando come di una sola parola. …
Egli è questa medesima sostanza, “Dio da Dio” (cf. Simbolo di Nicea), tutto l’essere, tutta la vita, tutta la santità, tutta la divinità. Il Cristo riceve da Dio e dona alla sua Chiesa. Egli dona in lui stesso l’essere, la vita, la partecipazione di Dio. “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso” (Gv 5,26); e il Cristo dice a sua volta: “Sono venuto perché abbiano la vita … Io do loro la vita eterna” (Gv 10, 10. 28). Egli concede loro “di diventare figli di Dio” (Gv 1,12), d’essere fatti “partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4).
Infine, c’è un terzo aspetto di questi rapporti di Dio e del suo Cristo. Dio è il capo di Cristo, e questo vuol dire che Dio possiede il suo Cristo, perché il suo essere procede da lui e il Cristo appartiene a Dio (1 Cor 3,23).
Gli appartiene per il diritto senza ineguaglianza che dona a suo Padre la sua nascita eterna, e gli appartiene anche per la sua nascita nel tempo e nella sua umanità, che è l’opera di Dio. … e noi vi vediamo anche il potere sovrano che ha sulla nuova creatura, che è opera sua, vale a dire il suo diritto a l’obbedienza umile e assoluta dell’uomo nuovo, che riceve tutto di lui in Gesù Cristo, e che è a lui interamente sottomesso (1 Cor 15,27-28)» (cf. L’Église, pp. 88-90).
b. Comunicazione del magistero fatta da Cristo alla sua Chiesa (cf. L’Église, pp. 90-91)
Cristo comunica alla Chiesa la parola: “quello che ho udito da lui, questo annuncio al mondo” (Gv 8,26). E le comunica anche di insegnare a sua volta: “Andate e ammaestrate tutte le genti” (Mt 28,19). Questo insegnamento ha due caratteristiche: in primo luogo è infallibile; in secondo luogo è dato per mezzo della bocca dei vescovi, in mezzo ai quali il Cristo risiede nella persona del suo vicario.
c. Comunicazione del ministero fatta da Cristo alla sua Chiesa (cf. L’Église, pp. 91-97)
Cristo comunica alla Chiesa il potere di santificazione. Questo potere, distinto dal magistero, è chiamato ministerium (molti teologi lo chiamano sacerdotium) e consiste nell’applicazione del testo di Gv 1,12: “a quanti lo hanno accolto, (il Verbo) ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Per renderli figli di Dio, li ha resi partecipi della natura divina (2 Pt 1,4).
Ciò avviene per il mistero del sacrificio, dove lui stesso è vittima e sacramento: “siamo stati infatti sepolti con lui nel battesimo” (Rm 6,4-5).
Tutti i sacramenti producono sempre questo fine:
il battesimo facendoci morire e rinascere;
l’eucaristia nutrendo questa vita;
la penitenza è rimedio alla malattia;
l’unzione dei malati è la consumazione della penitenza, come la cresima lo è del battesimo;
il matrimonio gli assicura nuovi figli.
Il potere santificatore della Chiesa straripa dai sacramenti e si estende ai sacramentali.
L’episcopato si associa l’ordine inferiore dei sacerdoti.
d. Comunicazione dell’imperium o autorità fatta da Cristo alla sua Chiesa (cf. L’Église, pp. 98-104)
La nuova umanità è chiamata alla vita per mezzo del magistero. Essa è partorita alla vita attraverso il ministero. A chi appartiene? A colui che le dà l’essere, cioè a Gesù Cristo, che sarà il suo re. In tal senso, l’auctor deve avere l’auctoritas. È lui che possiede la Chiesa, che la regge, la governa nella persona del suo vicario, associandosi il collegio dei vescovi, suoi rappresentanti.
L’imperium contiene il potere legislativo, giudiziario, esecutivo, e discende fino al vescovo (pertanto, i principi sia eterodossi sia cattolici compiono un’usurpazione quando pretendono di ingerirsi nel governo ecclesiastico). La città terrestre e la Chiesa sono due società indipendenti, sempre distinte, necessariamente unite. La città terrestre: deve fornire alla Chiesa i suoi membri, deve aiutare e assistere la Chiesa, deve alla Chiesa una certa obbedienza in tutto ciò che questa assistenza esige.
e. Unità del potere gerarchico (cf. L’Église, pp. 105-107)
Questi tre poteri non sono indipendenti gli uni dagli altri, e nemmeno interamente distinti. Come la missione di Cristo è una, i poteri della Chiesa non si separano affatto. Tutti i suoi vescovi sono infine dottori, santificatori, principi spirituali. Sono poteri coordinati che si completano per non formarne che uno solo.
Da ciò deriva l’obbligo missionario del collegio episcopale; inoltre, il vescovo di una Chiesa particolare prima di essere pastore dei fedeli, è innanzitutto dottore degli infedeli.
4. Il mistero della Chiesa vissuto nella comunità: la liturgia
1) Nell’intento di cogliere l’importanza fondamentale rivestita dalla comunità religiosa dei canonici regolari in ordine allo sviluppo e alla stesura del trattato L’Église di Dom Gréa, ci serviamo di questo recente giudizio sulle categorie di mistero e incarnazione:
«L’anima della fede è la passione per Gesù, la sua umanità e divinità che incontra il nostro travaglio profondo di dubbio e di accensione del cuore, di richiesta di senso e di inconsce paure, di apertura e chiusura, il tutto sull’ordito di un alto desiderio di avere nel mondo un compito di amore verso tutti. Soltanto da Lui è per noi possibile accendere quel “fuoco”…
Noi cristiani, oggi più che mai, dobbiamo … avere il coraggio di confidare nel mistero di Dio. Di fatto, il messaggio più centrale e originale di Gesù è consistito proprio nell’invitare l’essere umano a confidare nel Mistero insondabile che si trova all’origine di tutto. …
“Non abbiate paura … Confidate in Dio. Chiamatelo Abbà, Padre amato. … Abbiate fede in Dio” (cf. Mt 10, 26-31). La fiducia nel mistero di Dio …
La sua vita ruotava intorno a un progetto che lo entusiasmava e che lo faceva vivere intensamente. Lo chiamava “regno di Dio” … La sua gioia nel parlare del Padre e nel fare ogni sforzo per comunicarlo. … Felice in quel supremo momento di angoscia e solitudine, nell’abbandonarsi all’amore del Padre. Così Egli ha aperto un canale indistruttibile tra Dio e la nostra condizione umana» (C. Mezzasalma, Il combattimento della fede, in Feeria 44, settembre 2013, pp. 5-7).
2) La sua terra, i luoghi – Baudin, St. Claude, St. Antoine –, la sua comunità, coloro con i quali ha fatto la sua prima professione, i confratelli in seguito sempre teneramente amati fino alla morte, come «l’opera confidata alla mia vocazione»; i grandi protettori dell’opera – il P. Desurmont, mons. de Ségur, luci e guide degli ammirevoli progressi dell’opera durante 40 anni – erano la roccia su cui Dom Gréa poggiava la sua esistenza, tenendo sulle ginocchia la Bibbia. La quotidianità del pensare, del comunicare, del vivere, sgorgava come una creazione, un impasto di materia e parola che rivelava il mistero, senza violarlo e senza esaurirlo: è così che, come un inno di lode, è nata la sua grande opera, L’Église:
«La santa Chiesa cattolica è l’inizio e la ragione di tutte le cose (cf. S. Epifanio). Il suo nome santo riempie la storia fin dall’origine del mondo. … Al di là dei secoli l’eternità l’attende per darle compimento nel suo riposo. La Chiesa porta con sé nell’eternità tutte le speranze del genere umano che essa racchiude» (L’Église, Cap. I, p. 17).
«C’è del mistero in questo, e i ragionamenti tratti dalle analogie umane non possono arrivarci; i governi umani e la polizia degli stati non offrono nulla di simile, ma bisogna elevarsi più in alto e cercare nell’augusta Trinità la ragione e il tipo di tutta la vita della Chiesa» (L’Église, p. 133).
Come fa giustamente notare H. de Lubac: «Dom Gréa si mostra particolarmente sensibile al “mistero della gerarchia”» (Paradosso e mistero della Chiesa, Milano 1979, p. 20, nota 22); lo stesso teologo, citando l’incipit deL’Église, “La santa Chiesa cattolica è l’inizio e la ragione di tutte le cose”, osserva: «È ciò che aveva detto Herma, nel II secolo, nella seconda visione del suo Pastore» (Paradosso e mistero della Chiesa, p. 57), ponendo così in luce le solide radici patristiche dell’ecclesiologia di Dom Gréa.
Il punto focale, che teneva insieme le due fonti della Bibbia e della comunità, era eminentemente la liturgia, quella orante salmodica di tutti i giorni, e quella eucaristica quotidiana e festiva. Essa costituiva un ponte reale e sempre aperto tra ciò che è memoriale, ispirazione, mistero, parola rivelante, e il presente, la storia, l’adempimento sempre in evoluzione. L’attesa e l’annuncio del nuovo sempre veniente; un ponte fatto di parole-gesti, silenzi, incontri, comunione, attenzione, tenerezza perfino: nella liturgia Dom Gréa era davvero il “pontefice” che aveva descritto ne L’Église la sua poesia-lode.
In tal senso, risultano illuminanti queste riflessioni prese dalla Vie de Dom Gréa di Paul Benoît, relativamente alle circostanze storiche di pubblicazione de L’Église:
«Ma amava tanto la Chiesa perché lo Spirito Santo l’aveva a lui rivelata in tutto il suo splendore. Come Ezechiele, aveva ricevuto “la cordicella” per misurare “la lunghezza, la larghezza e l’altezza della Gerusalemme celeste”. Per quarant’anni ne ha parlato in ogni occasione, in pubblico e in privato. All’innumerevole moltitudine dei suoi visitatori, ai religiosi riuniti e formati da lui, alle assemblee dei fedeli venute per ascoltarlo. E tutti, alla sua parola semplice ma infervorata, hanno visto, o almeno intravisto, nella divina sposa di Gesù Cristo delle meraviglie fino allora ignorate.
Tuttavia, tutti i suoi uditori lo incitavano a scrivere ciò che predicava tutti i giorni, a esporre questo mistero della Chiesa che riempiva la sua vita intellettuale e li entusiasmava. Scrisse degli appunti, e poi altri ancora, lasciò a lungo “dormire” i suoi appunti nelle cartelle, e ancora li riprese di nuovo, li completò. Intraprese la redazione definitiva, ma ancora abbandonò 20 volte, 100 volte questa redazione …
Il primo capitolo è terminato. “Pagine sublimi – ho scritto allora –, ove è esposta con tanta magnificenza l’opera di Dio, soprattutto l’opera della sua misericordia”» (Aux origines de la publication du livre “De l’Église et de sa divine constitution”, in Bulletin CRIC, n. 169, mars 1985, p. 1).
Dom Gréa stava grande al centro di questo evento preparato, di questo atteso incrocio di umano e divino, dono di grazia dall’alto e ascesa dal basso di ricerca, invocazione, desiderio. Le parole erano invito, descrizioni profetiche di grande qualità. Gli uditori erano “embrasés” (infiammati), e soprattutto la sua comunità, nel tempo così differenziata, ogni giorno formata e guidata nell’amore della Chiesa, amava le sue istituzioni antiche, e, fra queste, una che ha voluto rinnovare: l’istituto canonico.
3) Ognuno attratto dentro uno spazio-tempo cosmico, riportato dentro la storia “sacra” che forse prima gli appariva non pertinente o irrilevante, atrofizzata nella ripetitività di rituali e ritornelli, per ritrovarsi responsabile, parte indispensabile di un tutto che non annienta, non fagocita, non omologa, ma che salva e ricrea. Parole vibranti, esperienze di preghiera, di lode, digiuni e penitenza.
Secondo questa concezione pregnante di liturgia, «la forma rituale non è più vuoto formalismo, ma appartiene all’essenza del sacramento perché è in essa che è all’opera l’azione misericordiosa di Dio e in essa avviene lo scambio di grazia tra l’uomo che vive nel tempo e Dio che supera il tempo e lo conduce alla salvezza» (L. Della Pietra, Rituum forma, Padova 2012, p. 326, in un capitolo in cui si parla anche della “lezione pionieristica dei primi padri del Movimento liturgico”).
Analogamente, il concetto di liturgia in Dom Gréa non è limitato al solo aspetto cultuale, ma attinge alla visione simbolica tipica della teologia patristica e dell’ecclesiologia del primo millennio. Ecco come il nostro autore prospetta il compito della Chiesa e della liturgia:
«Così l’incarnazione e la redenzione si diffondono nei canali dei sacramenti, nel battesimo e nella penitenza: e questo Dio incarnato, Gesù Cristo, si propaga e vive in tutti coloro che non rifiutano il dono celeste, si estende e si moltiplica senza dividersi, sempre uno e sempre unendo in lui le molteplicità. Ora, è questa divina propagazione di Cristo che lo sviluppa e gli dona questo compimento e questa “pienezza” (Ef 1,23) che è il mistero stesso della Chiesa» (L’Église, p. 26).[2]
4) Per considerare l’importanza decisiva della liturgia nella comunità di Dom Gréa e in quanti lo seguirono, valga, a nome di tanti preti eminenti di varie diocesi di Francia, l’esempio di Henri Ardouin Duparc (cf. Bulletin CRIC, n. 141, Mai-Août 1976). Egli nasce il 22 aprile 1879 a «Chez-Mouteau», a Charroux. Compie i suoi studi secondari a Poitiers, presso il collegio dei Padri gesuiti. Aveva due zii gesuiti, i Padri Anatole e Léonce de Grandmaison, fratelli di sua madre. … Sognava un ministero parrocchiale in un ambiente povero, di operai, ma unito alla vita religiosa. … Ebbe l’occasione di sentir parlare di Dom Gréa, teologo della Chiesa, promotore della liturgia attiva, che univa una austera vita religiosa ad alcune forme di ministero parrocchiale dipendente dai vescovi.
Decide di seguirlo, e come lui fecero quanti restarono incantati ed entusiasti di Dom Gréa e della sua forma di vita religiosa e pastorale insieme, “scambio di grazia tra l’uomo che vive nel tempo e Dio che supera il tempo e lo conduce alla salvezza”: ecco quanto – riprendendo l’espressione di Della Pietra succitata – continuamente traspare nel nostro fondatore.
5) Lasciamo adesso la parola a Dom Gréa, riprendendo stralci di una sua conferenza del 1894 pubblicata nella Voix du Père:
«Ciò che il Padre dona generando il Figlio suo lo estende fino a noi, e noi entriamo in quest’ordine con la nostra incorporazione a Gesù Cristo. Questo mistero non si completerà se non in cielo, perché qui in terra è “velato”, nascosto, combattuto da ciò che rimane dell’antico Adamo. …
Noi siamo fratelli di Gesù Cristo per un legame altrimenti sostanziale e profondo di quello che unisce i figli di uno stesso padre. Ciò che unisce i figli nell’ordine naturale è l’uguaglianza dell’essere, la stessa educazione, la partecipazione agli stessi diritti e alla comune eredità. Nel nuovo ordine non è solo la somiglianza con Gesù Cristo, ma è Gesù Cristo che è ciascuno di noi. È un vincolo ben altrimenti forte, perché Gesù Cristo stesso è in noi … e il termine che conviene meglio per designarlo è membra di Gesù Cristo. … È la sostanza di questo Figlio che è in noi.
Quali conseguenze per noi?
Non siamo una società di persone riunite per vivere insieme; siamo la famiglia di Dio perché Dio ci comunica la sua propria sostanza. La comunica per mezzo del superiore che è il capo di questa famiglia, è in lui che Dio è Padre e attraverso di lui che diventate membra di Gesù Cristo. Sono io che vi comunico la sostanza di Figli di Dio; ve la dono attraverso la parola, attraverso i sacramenti, nel vivere quotidiano. Il vostro padre qui in terra lo è una volta sola. … Ma io sono vostro padre tutti i giorni perché ogni giorno vi comunico la natura divina. …
L’amore che dovete avere fra di voi deve essere lo stesso dell’amore che avete verso Gesù Cristo. … Voi dovete amarvi come i santi in cielo. … Voi dovete avere una carità soprannaturale di cui lo Spirito Santo è il legame. Voi capite allora come la carità non si limita al solo affetto naturale, buono in se stesso, ma che non basta fra di noi. La carità è un’altra cosa che l’affetto naturale. È l’amore che Gesù Cristo ha per il Padre. Di conseguenza i vincoli che ci uniscono devono essere puri: è la carità rispettosa, gioiosa, illuminante, del cielo» (Dom Gréa, Conferenza sul grande mistero della vita religiosa, Saint Antoine, 6 novembre 1894, in La Voix du Père, pp. 81-83).
5. Per concludere
A ogni svolta della storia lo Spirito Santo offre una guida. A ogni civiltà che sopravviene, dona un maestro incaricato di dispensare la sua luce. La Chiesa ha avuto così S. Agostino, S. Benedetto, S. Francesco d’Assisi, S. Domenico, S. Teresa d’Avila, S. Ignazio, e tutti gli altri. Nella storia della Chiesa Dom Gréa ha scritto una bella pagina, che è certamente la comunità da lui fondata, ma è anche un’opera scritta, L’Église, e le sue conferenze e omelie, dove il genio proprio dell’autore vi si svela in tutto il suo carattere.
Costantemente avvolto nella luce che discende dall’alto, ma nel medesimo tempo ha difficoltà nel trovare le parole che possano descrivere la grandezza del Regno dei cieli. Quando guardiamo a lui non lasciamoci impaurire …
Dom Gréa ha creduto che la vita religiosa del clero pastorale diocesano sia una proposta esistenziale possibile. La nostra presenza ecclesiale e storica come comunità religiosa e sacerdotale non va confusa con la nostalgia delle forme esterne; al contrario, questa presenza ecclesiale in mezzo ai sacerdoti e vescovi che frequentiamo, sappia continuamente ispirarsi al messaggio di Dom Gréa come la Chiesa ce lo ha affidato.
Dedichiamoci allora allo studio, alla preghiera dei testi che fanno parte del nostro patrimonio spirituale e storico. Non commettiamo l’errore di pensare che il Signore non abbia più un compito da affidarci. Al contrario, pensiamo che mai come oggi sia necessario, insostituibile, il messaggio pasquale e profetico del fondatore, quale segno di libertà e di comunione evangelica.
Spunti di riflessioni e domande
1) Per Dom Gréa, la Chiesa è Cristo stesso, in quanto è un dono che procede da Dio, è la plenitudo della missione di Cristo. La Lumen gentium ci ricorda che: «La Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Dal punto di vista dell’ecclesiologia trinitaria ed eucaristica, ci può aiutare anche questa riflessione di Piero Coda: «La comunione con Dio e tra noi non siamo dunque noi a farla: è Gesù che la fa, mediante il dono di sé nella pasqua di morte e risurrezione che si fa presente a ogni tempo e in ogni luogo nell’Eucaristia. Essa è Cristo che, donandosi a noi, ci fa uno con sé e tra noi. Per l’Eucaristia Cristo dimora in noi e noi in Cristo, come sottolinea il Quarto vangelo (cfr. Gv 6,56). E poiché Cristo dimora nel Padre, e il Padre in Lui, anche noi, per Cristo, dimoriamo nel Padre e il Padre in noi. Si realizza così, per l’Eucaristia, la preghiera di Gesù al Padre: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi uno (…). Io in loro e te in me, perché siano consumati nell’essere uno” (Gv 17,21. 23). …
È perché noi partecipiamo, nel pane eucaristico, dell’unico Corpo di Cristo, che noi – sottolinea l’apostolo – diventiamo un solo Corpo in Lui, anzi il suo stesso Corpo. Non sfugga il realismo di Paolo: “Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. (1 Cor 12,12). Come il Corpo di Cristo, che è comunicato nell’Eucaristia, è Cristo stesso, così chi accoglie il Corpo di Cristo diventa Cristo. Paolo, dunque, non considera il corpo come la somma delle membra che lo compongono, ma come il principio d’unità che tiene armonicamente unite le membra tra loro e al tempo stesso fonda la loro diversità in vista del bene comune» (P. Coda, Diventare comunicazione, Una lettura teologica, in Vita monastica 240 (luglio-dicembre 2008), pp. 29. 31).
Sulla stessa linea teologica, si tenga presente il passo de L’Église, pp. 33-34 (citato a p. 2 della nostra relazione) e la conferenza del 9 novembre 1894, dove Dom Gréa si chiede: «Quali conseguenze per noi? Non siamo una società di persone riunite per vivere insieme; siamo la famiglia di Dio perché Dio ci comunica la sua propria sostanza». Come potremmo rispondere oggi a questo interrogativo suscitato dal nostro fondatore? Come ci sentiamo Chiesa? La nostra vita religiosa e pastorale è informata dall’ecclesiologia trinitaria?
2) «Nei suoi scritti e nelle sue conferenze Dom Gréa insiste molto più sulla necessità di non separare l’attività pastorale dalla vita interiore, che non sull’attività pastorale in se stessa. Una delle parole che egli cita e commenta più spesso è quella del suo amico mons. Mermillod sulla “febbre delle opere”, “l’eresia delle opere”, “l’eresia dei nostri tempi”. … Dom Gréa non voleva che: “con l’apparenza di svolgere un ministero, vale a dire di soddisfare ed esibire se stessi”, i religiosi trascurino il servizio divino “come se, essendo il ministero del sacerdote duplice e riguardando il servizio di Dio e il servizio delle anime per ricondurle al servizio di Dio, il servizio di Dio non fosse il primo e il principale”» (F. Vernet, Dom Gréa, p. 210). Queste parole di Dom Gréa di più di 100 anni fa, sembrano echeggiate da un recente intervento di Papa Francesco alle Pontificie opere missionaria (5 giugno 2015): «Davanti ad un compito così bello e importante che ci sta davanti, la fede e l’amore di Cristo hanno la capacità di spingerci ovunque per annunciare il Vangelo dell’amore, della fraternità e della giustizia. E questo si fa con la preghiera, con il coraggio evangelico e con la testimonianza delle beatitudini. Per favore, state attenti a non cadere nella tentazione di diventare una ONG, un ufficio di distribuzione di sussidi ordinari e straordinari. I soldi sono di aiuto - lo sappiamo! - ma possono diventare anche la rovina della Missione. Il funzionalismo, quando si mette al centro oppure occupa uno spazio grande, quasi come se fosse la cosa più importante, vi porterà alla rovina; perché il primo modo di morire è quello di dare per scontate le “sorgenti”, cioè Chi muove la Missione. Per favore, con tanti piani e programmi non togliete fuori Gesù Cristo dall’Opera Missionaria, che è opera sua. Una Chiesa che si riduca all’efficientismo degli apparati di partito è già morta, anche se le strutture e i programmi a favore dei chierici e dei laici “auto-occupati” dovessero durare ancora per secoli».
Quale visione domina la nostra pastorale? Il compimento delle opere di Dio oppure l’opus Dei? (dove Dei è genitivo soggettivo, nel senso che Dio è il soggetto operante).
3) Dom Gréa ci dice che «l’incarnazione e la redenzione si diffondono nei canali dei sacramenti» (L’Église, p. 26). A tal proposito, si tenga presente il bell’articolo di Enzo Biemmi, Iniziazione cristiana: la spia è accesa, in Settimana 34, 4 ottobre 2015, pp. 12-13. In questo testo (allegato come file), l’autore riflette su luci e ombre del rinnovamento dell’IC avviato negli ultimi 15 anni nella diocesi di Brescia, concludendo che non si tratta di cambiare strategicamente un modello, bensì di dar forma a un nuovo volto di Chiesa: «È così che va inteso lo sforzo di rinnovamento dell’IC: come una strada concreta che contribuisce a cambiare il volto della Chiesa, di tutti quindi, non solo dei genitori e dei ragazzi: dei parroci, dei catechisti, dei consigli pastorali, del vescovo e dei suoi collaboratori, delle strutture diocesane centrali ed intermedie».
Quali sono le nostre esperienze in proposito? I sacramenti nutrono ancora la vita divina in noi e nei fedeli noi affidati? Quali tentativi abbiamo in atto per impostare una seria pastorale liturgica?
4) Non si può staccare Dom Gréa e la sua visione liturgica ed ecclesiologica dalla comunità dei canonici regolari, da lui fondata. La nostra vita e preghiera comunitaria ci aiuta a respirare il senso autentico della liturgia e del mistero di Dio? Vista anche l’esigua configurazione numerica delle nostre comunità locali, quali limiti sperimentiamo? Quali miglioramenti ci suggeriamo di apportare? Come rendiamo partecipi i fedeli della bellezza della liturgia della Chiesa?
5) Dice Dom Gréa, parlando ai suoi confratelli: «io sono vostro padre tutti i giorni, perché ogni giorno vi comunico la natura divina» (conferenza del 6 novembre 1894). Viviamo anche noi oggi il carisma e la fatica della direzione spirituale nei confronti dei fedeli? Vi ci dedichiamo con impegno, anche se essa sottrae tempo alle altre attività pastorali? Riconosciamo in alcuni confratelli il carisma della direzione spirituale e di essere “padri” per la comunità CRIC di oggi?
[1] «Allo stesso modo che una madre spiega al suo bambino il mondo, gli mostra come lo deve vedere, ecc., così la Chiesa appoggiandosi in definitiva sull’esperienza della Madre del Signore, secondo la carne, che era colei che credeva per eccellenza, insegna ai suoi figli la Parola di Dio, trasmette loro in virtù della sua esperienza di madre e di sposa, non solo il senso ma anche il gusto e il sapore, il carattere concreto e incarnato di questa parola» (H. U. Von Balthasar, La gloire et la croix, t. I).
[2] Riferendoci all’insegnamento di Tommaso Federici, auspichiamo il recupero odierno della teologia simbolica, che secoli di razionalismo senza freni ha relegato nel campo del mito e del pensiero primitivo, mentre è la forma stessa della rivelazione biblica, della santa liturgia, del pensiero dei Padre e dei grandi spirituali. Per non parlare della poesia e dell’arte: come comprendere la parola di Cristo senza la teologia simbolica? E i misteri con i quali la Chiesa celebra il suo Signore?