E Dio fece fiorire la voce delle donne

La rosa necessaria

 

Ciò che canta in me è il canto dell'eternità. Ciò che è entrato in me non può piú morire.

 

                                                  Adriana Zarri

Rinascere nella Speranza

Allo stesso modo in cui il sole illumina i grandi cedri ed i fiorucci da niente come se ciascuno fosse unico al mondo, così nostro Signore si occupa di ciascun'anima con tanto amore, quasi fosse la sola ad esistere; e come nella natu­ra le stagioni tutte sono regolate in modo da far sbocciare nel giorno stabilito la pratolina più umile, cosi tutto risponde al bene di ciascun'anima.

 

Santa Teresina del Bambin Gesù

 

 

 

“La rinascita dell’umanità è cominciata dalla donna”

 

 

 

La sensibilità attuale del mondo esige che siano restituite alla donna la dignità e il valore intrinseco di cui l’ha dotata il Creatore. I tanti esempi di vita mettono in evidenza alcuni elementi che delineano quella femminilità così necessaria nella Chiesa e nel mondo: la forza per affrontare le difficoltà, la capacità di concretezza, una naturale disposizione a essere propositive per ciò che è più bello e umano, secondo il piano di Dio, e una visione lungimirante del mondo e della storia — profetica — che le ha rese seminatrici di speranza e costruttrici di futuro.

 

Papa Francesco

 

 

 

 

Piena di Grazia...Maria Santissima il fiore più bello

Film "Piena di Grazia"


Andavi al pozzo

e salutavi la gente;

la gente diceva: “buon giorno”

e tu rispondevi: “buon giorno”.

 

Andavi al forno

e cuocevi il tuo pane;

diceva il fornaio: “buon pranzo”

e tu rispondevi: “buon pranzo.

 

Andavi a letto

e ti accostavi al tuo sposo.

Giuseppe diceva: “buona notte”

e tu rispondevi: “buona notte”.

 

Andavi al Tempio

e pregavi il tuo Dio;

diceva il rabbino: “verrà”

e tu pensavi: “è venuto”.

 

Attraversavi il borgo;

le donne chiedevano: “quando?”,

e tu indicavi un mese.

 

E camminavi verso Betlemme;

Giuseppe chiedeva: “stai bene?”

e tu rispondevi: “sto bene”;

però procedevi con fatica

perché quel mese era arrivato

ed il bambino, d’ora in ora,

poteva chiedere la sua parte di sole o di luna.

 

C’era soltanto una capanna;

Giuseppe ti chiese: “va bene?”,

e tu rispondesti: “va bene”;

e il bimbo chiese la luna

e anche una stella cometa.

 

In cielo c’era ancora Gabriele

come quella mattina,

e in terra un accorrere di greggi

e un trapestare nella notte.

 

I pastori chiedevano: “è lui?”,

 

tu rispondevi: “è lui”.

 

Margherita Guidacci


Maria, madre di Gesù,

dammi il tuo cuore,

così bello,

così puro,

così immacolato,

così pieno d’amore e umiltà:

rendimi capace di ricevere Gesù

nel pane della vita,

amarlo come lo amasti e

e servirlo sotto le povere spoglie

del più povero tra i poveri.

Amen

 

 

Santa Teresa di Calcutta


Tu sei la madre incomparabile che cammina

con loro per la strada comune,

per guidarli al cielo.

O Madre diletta, in questo duro esilio

io voglio vivere sempre con te

e seguirti ogni giorno. Mi tuffo rapita

nella tua contemplazione e scopro

gli abissi di amore del tuo cuore.

Tutti i miei timori svaniscono

sotto il tuo sguardo materno

che mi insegna a piangere e a gioire.

 

 

S.Teresa di Lisieux


Mi sono aperta come un libro

davanti a Te,

un libro pieno di misure terrestri,

un libro pieno dei fiori della giovinezza,

                                                         Signore,

un libro pieno dei miei sospiri d’amore.

E ad un tratto Tu sei comparso,

per me, che ero velata d’azzurro,

per me, che godevo la tenerezza della mia

                                                      adolescenza,

per me, che mi sentivo giovane

e pronta a tutte le battaglie della vita,

 

per me che avevo lo scudo della parola.

 

Alda Merini


Settembre, tempo del Creato...il canto della Terra

Natura è tutto ciò che vediamo 

 

Emily Dickinson

 

( poetessa inglese )

 

Natura è tutto ciò che noi vediamo:

il colle, il pomeriggio, lo scoiattolo,

l’eclissi, il calabrone.

O meglio, la natura è il paradiso.

Natura è tutto ciò che noi udiamo:

il bobolink, il mare, il tuono, il grillo.

O meglio, la natura è armonia.

Natura è tutto quello che sappiamo

senza avere la capacità di dirlo,

tanto impotente è la nostra sapienza

a confronto della sua semplicità.

 

L’erba ha così poche occupazioni

un mondo di semplice verde

con solo farfalle su cui meditare

e api da ospitare

non ha da fare altro che cullarsi

tutto il giorno ai suoni melodiosi

che le brezze portano leggere

e accogliere in grembo la luce

e inchinarsi ad ogni cosa

e infilare le gocce di rugiada

come perle, per tutta la notte

e diventare così raffinata

che una duchessa invano attenderebbe

da lei un invito, un saluto, un’attenzione.

E quando muore, non fa che trapassare

in odori divini

come umili spezie addormentate

o nardi che si spengono

per poi finire in supremi fienili

e sognare tutti i giorni.

L’erba ha così poche occupazioni

 

mi piacerebbe tanto essere fieno.


 "Sulla terra”   

 

Forough Farrokhzad

 

( poetessa persiana )

 

“Io non ho mai desiderato

essere una stella del firmamento

celeste, o come spirito eletto

silente sorella degli angeli.

Mai distaccata dalla terra,

mai amica del cielo.

 

Qui, sulla terra,

sono uno stelo di pianta

che vive nutrita dal vento,

dal sole e dall’acqua.

 

Carica di desiderio e dolore

rimango qui, sulla terra,

accolgo l’elogio delle stelle

e la carezza dei venti.

 

Guardo dalla mia piccola finestra:

non fatta d’eterno, nient’altro

che l’eco di un canto sono.

 

E solamente l’eco di un canto

cerco nel gemito d’amore

più puro ancora

del silenzio del dolore.

Un nido non cerco

nella stilla di rugiada

posata sul giglio del mio corpo.

 

Sulle pareti della mia casa,

della mia vita, i passanti

lasciano tracce di ricordi,

con nere penne d’amore:

un cuore trafitto da una freccia,

una candela consumata,

pallidi segni taciturni

su confuse e folli missive.

Per ogni bocca che mi ha baciata

è nata una stella, nella notte

che scendeva sul fiume dei ricordi.

Perché mai desiderare le stelle?

 

Questo è il mio canto,

più deliziata, più felice

non fui mai come ora

 prima d’ora, mai come ora…”.


 

Rocce e pietre 

 

Yvette Christianse

 

( poetessa africana )

 

Il fuoco brucia, il fumo inizio

e fine. Noi fissiamo - quegli alberi -

ci teniamo forti. Sappiamo

perchè il corpo duole - il vento

è un vecchio vandalo in questa valle.

Il fumo sale. Le ceneri si ammucchiano.

Eppure, aspettiamo- la speranza ha un senso.

Dovessi danzare, sarebbe

tra quelli ali sulle onde.

Mi tufferei come gabbiano e

neppure più le ceneri rimarrebbero.

 

Allora, certo, il vento imparerebbe un altro canto.


                                               Io ero un uccello

 

                                                Alda Merini

                                              (poetessa italiana)

 

 

 

Io ero un uccello

dal bianco ventre gentile,

 

qualcuno mi ha tagliato la gola

per riderci sopra,

 

non so.

 

Io ero un albatro grande

e volteggiavo sui mari.

 

Qualcuno ha fermato il mio viaggio,

senza nessuna carità di suono.

Ma anche distesa per terra

io canto ora per te

 

 

le mie canzoni d’amore.


Agosto

Santa Monica...la santità di una madre tenace che conduce il figlio a Dio

 

"Cumulatius hoc mihi Deus praestitit!"

 

 

 

("Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente!")

 

Santa Monica un esempio da imitare

 

 

 

Papa Francesco

 

 

 

 

 

Il Signore chiede costanza, ci chiede di essere determinati, senza vergogna.

 

 

 

Una preghiera costante, invadente. Pensiamo a Santa Monica per esempio, quanti anni ha pregato così, anche con le lacrime, per la conversione del figlio. Il Signore alla fine ha aperto la porta.

 

 Nel nostro cuore dobbiamo sempre avere una “santa inquietudine” nella ricerca del vero bene che è Dio-Aiutiamo gli altri a sentire la sete di Dio. È Lui che dona pace e felicità al nostro cuore-

 

 

 

Agostino vive un’esperienza abbastanza comune al giorno d’oggi: abbastanza comune tra i giovani d’oggi. Viene educato dalla mamma Monica nella fede cristiana, anche se non riceve il Battesimo, ma crescendo se ne allontana, non trova in essa la risposta alle sue domande, ai desideri del suo cuore, e viene attirato da altre proposte. Nelle Confessioni leggiamo questa frase che un vescovo disse a santa Monica, la quale chiedeva di aiutare suo figlio a ritrovare la strada della fede: "Non è possibile che un figlio di tante lacrime perisca". Lo stesso Agostino, dopo la conversione, rivolgendosi a Dio, scrive: "per amore mio piangeva innanzi a te mia madre, tutta fedele, versando più lacrime di quante ne versino mai le madri alla morte fisica dei figli". Donna inquieta, questa donna, che, alla fine, dice quella bella parola: cumulatius hoc mihi Deus praestitit! (il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente). Quello per cui lei piangeva, Dio glielo aveva dato abbondantemente! E Agostino è erede di Monica, da lei riceve il seme dell’inquietudine. Ecco, allora, l’inquietudine dell’amore: cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, con quella intensità che porta anche alle lacrime"


La complessità umana delle donne sante

 

Molly Cahill

 

Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli e sorelle (1Cor 1,26).

 

C’è una certa serie di aggettivi che di solito vengono usati per caratterizzare le donne sante. Spesso si sente dire che erano serene, pazienti, abnegate, vergini o madri. Le caratteristiche che scegliamo di evidenziare su di loro dipingono un quadro particolare di come dovrebbe essere una donna buona.

 

Non sono qui per criticare le virtù di uno spirito paziente, altruista e donativo. Non so dove sarei senza le persone della mia vita, uomini e donne, che incarnano questo tipo di bontà. Ma, da ragazza cresciuta cattolica, a volte ho fatto fatica a vedermi nelle donne sante, perché molte volte sembrava che la loro complessità umana fosse disegnata solo a metà.

 

Sì, erano pazienti, gentili e buone. Ma volevo anche sentire la forza, lo zelo e la spiritualità selvaggia che di solito definivano le storie degli uomini diventati santi. Ero certa che anche le donne, nel corso dei secoli, avessero tutte queste qualità.

 

Ecco perché amo santa Monica.

 

Anche Monica soffre del destino a metà di molte donne sante dell’antichità. Se avete letto le Confessioni di sant’Agostino, sapete quasi tutto quello che c’è da sapere su di lei. Monica era la madre di Agostino e divenne una delle figure più influenti della storia cristiana, storia i cui numerosi scritti sono ancora oggi molto letti. Per come conosciamo essere molte sante, Monica era certamente paziente, abnegata e una madre devota.

 

Ma ciò che amo di più di Monica è il modo in cui ella dà vita al messaggio di Paolo che ci esorta a «considerare la nostra vocazione» e descrive le incredibili vocazioni che Dio ha in mente per coloro che il mondo ritiene «non contare nulla».

 

Monica, per me, si distingue per il suo intenso senso dello scopo. La sua fede anima completamente la sua vita ed è determinata a condividerla con le persone che ama, non importa quante volte la deludano. Mentre Agostino si sposta da un luogo all’altro e si confronta con diverse scuole di pensiero durante il suo viaggio spirituale, Monica è al suo fianco, incrollabile.

 

Se avete letto le Confessioni, sapete che l’anima di Agostino sembra quasi ribollire. Il suo intenso desiderio di significato, di amore e di vita rivive sulla pagina, nonostante sia morto nel 430. Credo che questa singolarità gli sia stata trasmessa da sua madre. Sebbene sia stato suo figlio a scrivere alcuni degli scritti teologici e filosofici più importanti di sempre, è innegabile che le impronte di Monica siano presenti in ogni pagina. Quanto è bello!

 

È indispensabile parlare delle donne sante in tutta la loro complessità, nei loro percorsi propositivi e virtuosi verso la vita eterna e nelle loro gioie e dolori in questa vita. Conoscendole più a fondo, possono essere le migliori guide per noi nel nostro cammino di fede.

 

La serenità e la devozione di Monica la rendono un eccellente modello di comportamento per uomini e donne, così come il suo senso dello scopo e la sua intensa vitalità.

 

 

Quanto siamo fortunati a camminare sulle orme di queste donne sante, umane e dalle mille sfaccettature!


Santa Rosa da Lima...profumata di Amore

La santità alimenta la bellezza, soprattutto quando si piega sulle più oscure ferite dell'umanità e si alimenta dell'autentico amore, quello di Dio. A questa infinita radice di speranza si alimentò Isabel Flores de Oliva, che, figlia di una nobile famiglia di origine spagnola a Lima, è nota con il nome che le venne attribuito proprio in virtù della sua bellezza: Rosa. La prima santa dell'America Latina era nata nel 1586, decima di tredici figli, e aveva coltivato la propria vita spirituale fin da piccola, sognando la consacrazione e opponendosi ai progetti di matrimonio che la famiglia voleva per lei. Quando i suoi caddero in povertà per un tracollo finanziario si diede da fare lavorando per aiutarli, senza dimenticare, al contempo, di fare quello che poteva per i poveri e i bisognosi, specie gli indios. Allestì nella casa materna una specie di ricovero pensato soprattutto per i bambini e gli anziani poveri. Guardando al modello di Caterina da Siena, vestì l'abito del Terz'Ordine Domenicano, visse in una sorta di cella nella casa materna da penitente e, per cinque anni, da reclusa. Nel 1614, provata dalle privazioni, lasciò la “cella”; morì nel 1617, è santa dal 1672.

Percorrere il cammino di Santa Rosa da Lima

 

 

 

“Sei bella! Sei Rosa!”

Nel 1586 Isabella nacque a Lima, decima di tredici figli dei Flores de Oliva, nobili spagnoli trapiantati in Perù. Fu la sua balia Marianna, di origine india, a darle il nome di Rosa per l’incredibile bellezza che la caratterizzava. Nome poi confermato alla cresima e a vent’anni quando vestì l’abito del Terz'ordine domenicano, come il suo modello di vita, Santa Caterina da Siena. A Rosa si aggiunse allora anche il nome “di Santa Maria”, ad esprimere il tenerissimo amore che sempre la legò alla Vergine a cui ricorreva ad ogni istante per chiedere protezione .

 

Povera per i poveri

 

Santa Rosa conobbe la povertà quando la sua famiglia andò in miseria per il fallimento degli affari paterni; lavorò duro come domestica, nell’orto e come ricamatrice, fino a notte fonda, portando nelle case degli acquirenti la Parola di Cristo e il suo anelito al bene e alla giustizia che, nella società peruviana di allora, schiacciata dalla Spagna colonizzatrice, sembrava offuscata del tutto. Nella casa materna creò una sorta di ricovero per i bisognosi, dove assisteva bambini ed anziani abbandonati, soprattutto di origine india. Già da piccola Rosa aspirò a consacrarsi a Dio nella vita claustrale, ma rimase “vergine nel mondo” e da terziaria domenicana si rinchiuse in una cella di pochi metri quadrati, costruita nel giardino della casa materna, dalla quale usciva solo per la funzione religiosa e dove trascorreva gran parte delle sue giornate a pregare ed in stretta unione con il Signore.

 

“Dedicami tutto il tuo amore…”

Mentre pregava davanti ad un'immagine della Vergine Maria con in braccio Gesù, un giorno da quel bambino Rosa udì una voce che le disse: "Rosa, dedicami tutto il tuo amore ...". Non ebbe dubbi: da allora fu Gesù il suo amore esclusivo sino alla morte, un amore coltivato nella verginità, nella preghiera e nella penitenza. Ripeteva spesso: "Mio Dio, puoi aumentare le sofferenze, purché aumenti il mio amore per te". E’ il significato redentivo della Passione di Cristo che le si fece chiaro: il dolore vissuto con fede redime, salva. E il dolore dell’uomo può essere associato al dolore salvifico di Cristo. E’ una svolta interiore che coincise con la lettura di Santa Caterina, da cui imparò l’amore al sangue di Cristo e l’amore alla Chiesa. Ed è proprio nel suo romitorio in giardino che Santa Rosa riviveva nella carne la passione di Gesù, con due intenzioni: la conversione degli spagnoli e l’evangelizzazione degli indios.

 

Devozione e anno giubilare

 

 

Le si attribuiscono infatti mortificazioni e castighi corporali di ogni genere ma anche tante conversioni e altrettanti i miracoli. Uno fra tutti, la mancata invasione dei pirati olandesi a Lima nel 1615. Quando ancora era in vita, Rosa venne esaminata da una commissione mista di religiosi e scienziati che giudicarono le sue esperienze mistiche come veri e propri "doni di grazia", tanto che alla sua morte per l’enorme folla che partecipò al suo funerale, Rosa era già santa. Morì solo dopo aver rinnovato i suoi voti religiosi, ripetendo più volte: «Gesù, sii con me!». Era la notte del 23 agosto 1617. Dopo la morte, quando il suo corpo fu trasportato nella Cappella del Rosario, la Madonna da quella statua dinanzi alla quale la Santa tante volte aveva pregato le sorrise ancora, per l’ultima volta. La folla presente gridò al miracolo. Nel 1668, Rosa venne beatificata da Papa Clemente IX e canonizzata tre anni più tardi. E’ la prima Santa canonizzata del Nuovo Mondo ed è patrona del Perù, di tutta l'America Latina, delle Indie e delle Filippine. E' invocata come protettrice di fiorai e giardinieri, contro le eruzioni vulcaniche e anche in caso di ferite o per la soluzione di litigi famigliari. Un Anno giubilare ha commemorato i 400 anni della morte di Santa Rosa col motto: “400 anni intercedendo per te”, in riferimento alle migliaia di preghiere che la Santa ha ricevuto ed esaudito nel corso di quattro secoli.


Assunzione...Maria "vestita di sole"!

L’anima mia scorre verso di Te come la luce,

l’anima mia che si deforma

e diventa preghiera,

l’anima mia che è foresta di canto,

l’anima sempre l’anima

che è la tua mano che mi accarezza.

Ma perché Dio

la pietra della mia lingua è diventata saggia

è diventata un fiore?

Tu non sai che cosa sono le tue mani sopra il mio corpo e la tua volontà divina.

Io sono soltanto una terra adolescente,

una terra che diventa un fiore

 

un fiore che diventa terra.

Alda Merini


I volti di Maria

 

nell'arte

 

 

Intervista di Corrado Augias a Marco Vannini

 

 

 

Quali sono le più frequenti raffigurazioni della Madonna?

 

 

Quella dell'Assunta e quella dell'Immacolata. Infatti, come abbiamo già detto più sopra, ben prima che i due rispettivi dogmi fossero definiti, la devozione popolare aveva già deciso in loro favore.

Nelle immagini dell'Assunzione, Maria a volte, portata dagli angeli, si alza con lé mani giunte e gli occhi rivolti al cielo, come ad esempio nella tela di Guido Reni a Sant'Ambrogio di Genova; a volte invece si alza in cielo da sola, mentre gli angeli la guardano: così, ad esempio, nell'Assunta di Tiziano nella chiesa dei Frari a Venezia, ove l'ascesa è per così dire naturale, senza sforzo, senza niente di ascetico o mistico. I volti degli apostoli non esprimono meraviglia, quasi si trattasse di un evento straordinario sì ma non incredibile, anzi, la semplice realizzazione di un evento previsto dal disegno divino.

Ancora più diffusa l'immagine dell'Immacolata. Maria è rappresentata in piedi, con le mani giunte o incrociate sul petto; ricordando Genesi 3,15, i suoi piedi, posati sul globo, schiacciano la testa del serpente tentatore, mentre la corona di dodici stelle e la luna sotto i piedi richiamano la donna di Apocalisse, capitolo 12. Questa iconografia, codificata dal pittore spagnolo Francisco Pacheco (la Spagna era, come abbiamo detto, la massima partigiana dell'Immacolata), prevede per Maria veste bianca e mantello azzurro e così viene raffigurata in numerosi dipinti di Murillo, facendo da modello anche per il nostro Tiepolo.

Un'altra frequente iconografia mariana di quel periodo è quella della Madonna del Rosario. La devozione del rosario, di origine medievale, prevalentemente domenicana e certosina, venne codificata da papa Pio V nel 1572. Nel 1573 papa Gregorio XIII istituì una festa (prima domenica di ottobre) nel ricordo della vittoria di Lepanto attribuita all'intervento della beata Vergine del Rosario. Furono i gesuiti a diffondere la pia pratica, tanto che il rosario in certo modo divenne la preghiera dei semplici per eccellenza, e questo spiega, ovviamente, anche il diffondersi delle immagini della Madonna del Rosario nei luoghi di culto.

 

Il secolo dei Lumi, le correnti razionalistiche dell'Illuminismo che si sono diffuse nel XVIII secolo perfino nell'Italia settentrionale, spengono o attenuano quasi ovunque il fervore mariano.

Lo stesso si può dire per quanto riguarda il secolo successivo, il famoso Ottocento nel quale le varie correnti artistiche non avevano più legami con la fede dei semplici.

È vero. Tutto cambia però con le apparizioni di Maria in Francia di cui abbiamo parlato. Prima a Parigi, a Catherine Labouré, con la cosiddetta «medaglia miracolosa», poi a Lourdes, a Bernadette Soubirous.

 

Nel senso che le apparizioni incidono anche nell'iconografia mariana?

Certamente, l'immagine più diffusa diventa quella della Vergine con le mani giunte, veste bianca e lungo velo, una cintura azzurra e un rosario che pende dal braccio destro. La proclamazione del dogma dell'Immacolata e la diffusione delle immagini a stampa (i «santini») fissano questa rappresentazione che, insieme a quella di Fatima, è la più comune nel Novecento.

È stato notato che queste immagini, in particolare le statuette di gesso della Madonna di Lourdes, nella loro semplicità (si potrebbe parlare di kitsch), svolgono presso il popolo dei fedeli una funzione analoga a quella delle antiche icone: non capolavori a opera di un artista famoso, ma semplici immagini sacre.

 

Fatte in serie.

Certo, ma perfino questo si trasforma in un punto positivo contraddicendo il giudizio di Walter Benjamin nel suo celebre saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica.

 

Forse perché si tratta di oggetti comuni. Certo non opere d'arte.

La produzione in serie restituisce alle immagini quell'impersonalità che era già nelle icone acheropite, come si diceva in greco bizantino, ovvero non fatte da mano di uomo.

Comunque nella Collezione d'arte religiosa moderna dei Musei Vaticani, nata nel 1973 per iniziativa di Paolo VI, vi sono opere mariane di grandi nomi dell'arte moderna: van Gogh, Matisse, Rouault, De Chirico, Carrà, Dalí. Altri nomi si potrebbero fare: Emilio Greco, Giacomo Manzù, Igor Mitoraj, eccetera.

Maria resta dunque presente anche nell'arte del nostro tempo.

 

Sicuramente. Però con un'osservazione non so se da lei condivisa. Questa produzione, anche se di autore illustre, non ha più legami con la dottrina e nemmeno con la pietà popolare. Obiezione che si può estendere ad altri aspetti del sacro, per esempio la moderna architettura ecclesiastica che è in genere di grande bruttezza. È stato osservato che sembra suggerita dal demonio. Condivide?

Ahimè, sì.

 

Poco fa lei si è riferito alle «icone». Ora, la parola icona, diffusa anche nel linguaggio del computer e del web, di per sé vuol dire semplicemente «immagine», in greco. Però sappiamo che non è così semplice. Le icone, nel senso da lei enunciato, sono quella particolare forma di rappresentazione tipica dell'arte bizantina e poi slava. Qual è, ed è stato, il ruolo di queste immagini?

Devozionale, ma non solo, anche teologico, funzione doppia che non trova corrispondenza in Occidente. Noti che solo nel XX secolo, per l'influenza esercitata da intellettuali cristiano-ortodossi russi esuli a Parigi dopo la Rivoluzione comunista e il terrore staliniano, l'Europa ha compreso il significato dell'icona.

L'icona è un'immagine a soggetto religioso, in genere di dimensioni ridotte, quindi portatile, dipinta su una tavola di legno con una tecnica perpetuatasi nei secoli, tramandata probabilmente dall'antico Egitto.

La Chiesa ortodossa ha limitato il divieto delle immagini dell'Antico Testamento solo ai simulacra, cioè alle raffigurazioni plastiche della divinità, per questo l'arte sacra bizantina non ha prodotto statue, icone invece sì.

L'icona è sottratta a qualsiasi interpretazione soggettiva, rinuncia in larga misura alla spazialità e alla plasticità della pittura ellenistica, ricerca la bidimensionalità, che non deriva, come talvolta si legge, dall'incapacità di usare la prospettiva, ma dal fatto che la figura dell'icona non appartiene più alla sfera della percezione sensoriale, si affaccia per così dire dall'eternità nella nostra dimensione temporale. Anche l'uso dei colori è rigidamente definito, come l'abbigliamento dei personaggi e i simboli. Il pittore non decide niente, tutto è già previsto, deve solo pronunciare una preghiera mentre prepara i colori e li stende sul pannello.

Per la Chiesa ortodossa l'icona non è un'immagine sacra nel senso occidentale, tanto meno un oggetto decorativo, bensì qualcosa che trova il suo vero significato solo nello spazio e nella celebrazione liturgica.

 

Se capisco bene l'icona non è una rappresentazione del divino, ma in qualche modo richiama la presenza stessa del divino.

Dio è invisibile e irrappresentabile, ma, poiché s'è fatto uomo, si può disegnare sulla tavola e proporre alla contemplazione nei vari aspetti della sua vita: Nascita dalla Vergine, Battesimo, Passione, Resurrezione, eccetera. L'icona mostra colui di cui è immagine, rimandando all'originale.

Non si deve perciò adorare l'icona, giacché l'adorazione è riservata a Dio, ma venerarla, poiché l'immagine onora l'originale cui rimanda. Lei ricorderà certo in Guerra e pace di Tolstoj la processione con l'icona della Madonna di Smolensk, prima della battaglia di Borodino, con tutto l'esercito russo in ginocchio, e il vecchio generale Kutuzov con la fronte a terra davanti alla sacra icona.

 

Ricordo anche Vladimir Vladimirovič Putin che sbaciucchia le icone nelle celebrazioni ortodosse.

Questo fa solo ridere.

 

Capisco meglio adesso perché i personaggi raffigurati nelle icone appaiano in una sorta di dimensione atemporale, astorica, quanto di più vicino possa darsi dell'idea del sacro. La Madonna come viene raffigurata?

La figura di Maria venne per così dire codificata da Niceforo Callisto, autore greco del XIV secolo, che, richiamandosi a Epifanio di Salamina (IV secolo), scrive: «La Vergine non era di alta statura... Il colorito leggermente dorato dal sole della sua terra, rifletteva il colore del frumento. Biondi i capelli, vivaci gli occhi, un po' olivastra la pupilla. Le sopracciglia arcuate e nere; il naso un poco allungato; le labbra rosse e colme di soavità nel parlare. Il viso né tondeggiante né aguzzo, ma leggermente ovale, le mani e le dita affusolate».

Nelle icone Maria porta sempre il maphórion: una specie dí velo che le copre il capo e le spalle, scendendo fino alle ginocchia, ritenuto da un fermaglio all'altezza della gola. Esisteva come sacra reliquia custodita a Costantino-poli fino al XV secolo nel famoso santuario mariano delle Blacherne. Poi il monastero fu distrutto da un incendio e la città presa dai turchi. Là si venerava l'icona di Maria detta perciò Blachernitissa: posizione frontale, eretta, le braccia alzate e la raffigurazione del Figlio in un clipeo (scudo) sul petto. Una copia importante è a Torcello (Venezia).

Le icone di Maria sono diffuse quanto quelle del Cristo, se ne ricordano addirittura 700 denominazioni. Secondo la leggenda, le prime tre sarebbero state dipinte dall'evangelista Luca.

 

Ci dobbiamo credere?

Direi di no, ma non ha molta importanza. La leggenda ci dice soprattutto la rilevanza data in particolare a questo tipo di icone. Ometto di elencare anche solo per sommi capi le centinaia di denominazioni conosciute, mi limito a citarne due.

Una è la Galaktotrophoûsa (Colei che nutre col latte), che raffigura la Madre col bambino al seno, in ricordo di Lc 11,27: «Beato il seno che ti ha nutrito!». È di una tipologia molto antica, che risale all'Egitto del VI secolo. Il tema compare anche a Roma, nel mosaico di Santa Maria in Trastevere, secolo XII, poi nei cosiddetti «madonnari», attivissimi fino a tutto il Settecento e molto amati anche oggi dalla tradizione popolare, nelle feste mariane. Si tratta di umili artisti che dipingono per terra con i gessetti effimere immagini. Ricordo per incidens che ci sono tuttora circa settanta località, tra Oriente e Occidente, dove si sostiene di avere reliquie del latte della Madonna.

L'altra è la Kyriótissa (Regina), con la Madonna seduta in trono, vestita di porpora come una sovrana, col Bambino in grembo che alza la mano in gesto di benedizione. Già abbozzato nelle catacombe nella scena dell'adorazione dei magi, si impone dopo il Concilio di Efeso, con la definizione della divina maternità (Theotókos). Ne troviamo esemplari a Parenzo, in Istria, a Ravenna, eccetera.

 

E la connotazione teologica di queste immagini cui accennava prima?

Prendo ad esempio la Eleoúsa, ovvero Tenera, Misericordiosa, detta anche Donskaja perché venne portata in processione prima della battaglia di Kulikovo, in cui il principe russo Dmitrij Donskoj sconfisse i tartari, nel 1380. Lì si vede che le figure emergono da una luce proveniente dallo sfondo che passa attraverso l'interno dei personaggi quasi accendendoli. Il pittore traduce in questo modo la teologia del mistico bizantino Gregorio Palamas, che considera la luce increata del Tabor (Lc 9,34; Mc 9,7) come manifestazione visibile dell'energia divina. Illuminato da quella luce, l'uomo può elevarsi sopra la materia, essere deificato dalla grazia, divenire Dio non solo nell'anima ma anche nel corpo, cogliendo il mondo intero dall'interno della sua unità.

 

 

E qui vedo che si torna al suo prediletto misticismo.


L'Assunzione di Maria al Cielo

 

Peraboni, sr. Maristella Curatore, Sr. MariaGloria Fonte

 

Discorsetto a Maria, di Italo Alighiero Chiusano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quanto a te, madre, un saluto

qui, nerissimo inchiostro su carta.

Sai che acqua limpida di nevaio

mi scorre in fondo al cuore: è la mia

devozione per te, piccola

e immensa fanciulla di Galilea,

poi sposina, poi giovane mamma,

poi sposa e madre sempre più matura

e consapevole e afflitta e coraggiosa,

che tante cose meditava nella sua

cristallina coscienza.

Ti vedo anche dopo,

superate le ore orrende del Golgota,

in compagnia del tuo figlio secondo, l'aquilotto

Giovanni, il fedele, il tenero, il genio.

E tu sul mare di Efeso, in attesa di un'ora

che non immaginavi, ma che tu

sola potevi immaginare.

Ora lassù, in una luce che nessuno

concepisce se non vedendola,

non hai perso un filo della tua tenerissima,

ferma, trepida, sorridente maternità.

lo ti parlo, quaggiù, come alla buona

dirimpettaia, come alla suora

mistica e casalinga, alla poetessa

tutta fuoco e sorriso, alla mammina

che capisce e che compatisce tutto.

Sei anche l'unica, la incoronata

regina, la sposa dello Spirito.

Lo so, e ne gioisco. Ma lo eludo

per non intimidirmi. È il sottofondo

dorato alla tua piana, cara affabilità,

e questa sola mi permette

di parlarti e invocarti

nella mia orgogliosa miseria.

Ne sorridi, signora?

Dimmi che ne sorridi,

o mi metto vergogna.

 

"Quanto a te, madre, un saluto qui, nerissimo inchiostro su carta." È l'incipit di questa poesia che l'autore dedica a Maria. In essa Chiusano considera la Vergine Madre più come "la mamma celeste" che come "la Signora gloriosa".

Di conseguenza, egli contempla sì la Madonna assunta in cielo, ma la contempla e la venera nella sua "gloriosa maternità", rivolgendosi a lei con tutta la familiarità e la confidenza che il sentimento filiale e l'affetto profondo, che egli porta alla Vergine Santa, gli suggeriscono.

"Quanto a te, Madre, un saluto…" esordisce il poeta, lasciandoci forse un po' perplessi per l'immediatezza dell'espressione usata. È certo un inizio "insolito" questo, tanto più per un testo rivolto alla Madonna.

Basta però leggere la strofa successiva, per sentirsi non solo rassicurati ma anche commossi, dinanzi a tanta fanciullesca e gioiosa spontaneità: "Sai che acqua limpida di nevaio mi scorre in fondo al cuore: è la mia devozione per te", dice gaiamente l'autore, facendo, così, alla Madre di Dio, una vera e propria dichiarazione d'amore.

C'è, infatti, tutto l'affetto del figlio, la spontaneità del bambino, la devozione del credente, l'amore dell'innamorato,… in questo poetico "discorsetto" che il poeta rivolge "a Maria", la sua "mammina" del cielo.

Maria è, dunque, "l'Assunta", colei che, subito dopo la sua morte, è salita al cielo in anima e corpo, ed è ora circonfusa di gloria, osannata dagli angeli e dai santi.

"Isaia perché resti silenzioso? - recita la liturgia Siro-Maronita - Prendi la cetra e convoca i profeti: le loro profezie si sono compiute, le loro visioni si sono realizzate. Ecco una ragazza delle nostre, più eccelsa degli angeli e più pura dei gigli, profumata come il mirto, è stata scelta dal Creatore di ogni cosa… Ecco che si radunano gli apostoli, i martiri e i giusti per ascoltarti mentre la canti: il suo viso è più splendente della primavera in fiore; le stelle sono la sua corona; il cielo nuovo brilla in lei, astro luminoso. Santo è colui che esalta la memoria di sua madre e rende più gioiose le sue feste… Chiesa sii in festa e canta: Benedetto colui che in lei si è incarnato e l'ha magnificata".

Veramente Maria è la "donna gloriosa, alta sopra le stelle", ma, sembra volerci ricordare Chiusano, ella è anche "la Mamma", alla quale è sempre possibile rivolgersi, in tutta semplicità e "schiettezza", in ogni circostanza, lieta e triste della vita, proprio perché ella è, e resterà sempre, "la mammina che capisce e che compatisce tutto".

Rivolgendosi a Maria, il poeta guarda, infatti, alla concretezza della sua esistenza terrena facendone scorrere le varie fasi, in un susseguirsi di espressioni formulate con affettuoso trasporto e limpida naturalezza: La Vergine è, da principio, presentata come la "piccola e immensa fanciulla di Galilea". Maria è colei che, umile e casta, riceve nell'Annunciazione, l'immenso dono della divina maternità. La "piccola fanciulla di Galilea", diviene poi "sposina, poi giovane mamma, poi sposa e madre sempre più matura e consapevole".

Si susseguono così, sotto la penna dell'autore, le varie fasi della vita di Maria che, nel suo ruolo materno, accompagna, con amore e dedizione, la crescita del Figlio di Dio. In esse Maria è presentata non solo come "la Madre" ma anche come "la Vergine saggia" che "tante cose meditava nella sua cristallina coscienza" anche quando, "afflitta e coraggiosa", è chiamata a vivere la drammatica prova delle "orrende ore del Golgota".

Infine, dopo aver passato in rapida rassegna, i "misteri" della vita di Maria in compagnia del Figlio, Chiusano compie un passo ulteriore: "Ti vedo anche dopo, - dice - …in compagnia del tuo figlio secondo". È Giovanni, che l'autore identifica come "l'aquilotto, (con chiaro riferimento ad Apocalisse 4,7) il fedele, il tenero, il genio". Maria resta accanto a Giovanni, il discepolo amato, nota il poeta, e, quindi, Maria resta accanto a tutti coloro che in Giovanni sono rappresentati: ogni cristiano che, nell'arco della storia, si metterà alla sequela di Gesù.

Il testo poetico prosegue e l'attenzione dell'autore, dopo questa "piccola divagazione" sulla figura del discepolo, torna ad essere centrata sulla Vergine Madre che, "sul mare di Efeso" rimane "in attesa di un'ora che lei sola poteva immaginare".

Maria, infatti, dopo l'ascensione di Gesù al cielo, in conformità al Piano di Dio su di lei, era rimasta sulla terra, quale madre della nascente comunità, ma il suo sguardo ed il suo cuore, erano rivolti al cielo dove era il Figlio e dove era attesa da Gesù e da tutti beati.

Dolcissimo, a questo proposito, è quanto scrive S. Germano, il quale, rivolgendosi a Maria stessa, così ragiona: "Come un bambino desidera e cerca la presenza di sua madre, e come una madre desidera vivere in compagnia di suo figlio, anche per te, il cui amore materno per tuo Figlio e Dio non lascia dubbi, era conveniente che tu ritornassi verso di lui. E non era conveniente che, in ogni modo, questo Dio, che provava per te un amore veramente filiale, ti prendesse in sua compagnia?" Inoltre, aggiunge S. Germano, "Bisognava che la madre della Vita, condividesse l'abitazione della Vita".

Inoltre, la presenza in terra di Maria era necessaria e alla crescita e allo sviluppo della neonata comunità cristiana e alla formazione della Chiesa.

Perciò "Cristo aveva lasciato per un certo tempo sua madre sulla terra, - ci dice Pietro di Blois - finché avesse comunicato ai discepoli tutto quello che aveva veduto con grande intimità nel figlio suo e che aveva custodito a lungo nel suo cuore, e finché… avesse introdotto nel cuore del credenti una fede e un amore per Cristo più forti e più saldi, e avesse presentato a suo figlio la Chiesa di Cristo senza macchia né ruga, quella Chiesa che al momento dell'Ascensione aveva ricevuto perché la istruisse. Ma - aggiunge quest'autore, con un magistrale tocco di delicatezza e facendo, così, vibrare di tenera commozione le corde del sentimento presente nell'animo umano - a Cristo sembrava di non essere asceso totalmente al cielo fin che non avesse tratto a sé colei dal cui sangue e dalla cui carne aveva tratto il suo corpo. Cristo desiderava vivamente avere con sé quel vaso di elezione, intendo dire il corpo della Vergine, nel quale si era molto compiaciuto e nel quale non trovò nulla che potesse dispiacere alla divinità."

Meritatamente, quindi, Maria, per volere divino, subito dopo la sua morte, viene assunta in cielo, quale "coronamento" della sua esistenza, esistenza che la Vergine santa aveva plasmata e condotta alla luce della Parola di Dio.

Considerata in quest'ottica, la morte corporale di Maria, può essere certo vista come una "dormitio" e, considerato in quest'ottica, il pensiero cristiano dell'Occidente e quello dell'Oriente, riguardo il destino celeste della Vergine santa, non solo non sono in contrasto, ma giungono, se non proprio a coincidere, per lo meno ad integrarsi.

Interessante, a questo proposito, risulta quanto Madre Thekla, Igumena del Monastero Ortodosso dell'Assunzione di Whitby in Inghilterra, afferma riguardo alla gloriosa dipartita di Maria da questo mondo.

"Noi ortodossi - dice - non parliamo di festa dell'Assunzione preferiamo chiamarla "festa della Dormizione di Maria" …La differenza che c'è tra assunzione e dormizione non è una semplice sfumatura… Sappiamo che Maria morì, o meglio che Maria si addormentò. Ma non possiamo sapere… se fu accolta in cielo come persona. Non ci sono note evangeliche in merito a questo particolare... Il fatto che noi ortodossi non accettiamo l'assunzione come dottrina, non ci esime dal venerare Maria come Madre di Dio sulla terra e dal proseguire questa venerazione anche nella sua vita in paradiso. Ma che cosa sappiamo dei contenuti di questa festa? "Cristo trasse presso di sé in cielo colei che l'aveva generato senza seme d'uomo." [...] "Il gruppo glorioso degli Apostoli fu miracolosamente radunato per seppellire nella gloria il tuo corpo purissimo." (I testi tra virgolette sono tratti dalla liturgia ortodossa di questa festa) Miracolosamente, perché, secondo la versione degli Apocrifi, gli apostoli -morti e vivi - sparsi in ogni parte della terra, furono radunati per assistere alla dormizione della Madre di Dio e alla sua assunzione in cielo. Nel culto, noi riconosciamo e confessiamo ciò che non è consentito nel dogma ufficiale. Una strana dicotomia, forse, ma che enfatizza la realtà dell'esperienza della celebrazione. Sebbene forse non direttamente connessa col rigore del linguaggio canonico, tuttavia questa espressione di venerazione è un atto d'amore, di fede viva, tramandata da secoli di tradizione religiosa".

"Ora" Maria è "lassù, in una luce che nessuno concepisce se non vedendola" prosegue Chiusano, ma ella, per il poeta e per ciascuno di noi, resta, sempre e comunque, "la mamma" e, come tale, conserva immutata la sua "tenerissima, ferma, trepida, sorridente maternità".

Il Concilio stesso sottolinea questa unità tra la glorificazione di Maria e la sua maternità verso il genere umano. Leggiamo, infatti, nella Lumen Gentium: "L'Immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in corpo e anima"… "Da quel momento la Madre di Gesù non ha cessato di pregare per la Chiesa:... Essa, che con le sue preghiere aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in Cielo esaltata sopra tutti i beati e gli angeli, nella Comunione dei santi intercede presso il Figlio suo, finché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano lì felicemente riunite in un solo Popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile Trinità".

Dunque, anche "Glorificata… la Madre di Dio non ha perso la sua natura creata, - spiega Sergij Bulgakov - non si è separata dal mondo che ha glorificato attraverso di lei e in lei", poi, quasi a "garanzia" della veridicità di quanto asserito, aggiunge questa "curiosa" giustificazione: "Testimoniano ciò tutte le apparizioni della Madre di Dio, il suo velo steso sopra il mondo, le sue icone miracolose, l'oceano di preghiere che incessantemente si riversano su di lei, con la speranza e la fede che non vi sia altro essere umano che possieda un cuore più amoroso e attento della Madre lodatissima, la santa difesa del cristiano."

Il poeta sa, perciò, che a Maria, anche adesso che è nella gloria, ci si può sempre rivolgere con confidenza e parlarle "come alla buona dirimpettaia, come alla suora mistica e casalinga, alla poetessa tutta fuoco e sorriso…" Ma, come dicevamo, è soprattutto a Maria vista come la "mammina che capisce e che compatisce tutto" che il poeta si rivolge, con una sconfinata fiducia e certezza di essere sempre accolto e ascoltato come un figlio amato dalla più tenera e meravigliosa delle madri.

Perciò Maria è non solo Madre, ma "anche l'unica, la incoronata regina, la sposa dello Spirito". Di questo il poeta è perfettamente conscio e lo dichiara: "Lo so - dice - e ne gioisco. Ma - specifica quasi a giustificare il tono "dimesso e familiare" del suo discorrere - lo eludo per non intimidirmi". Dopotutto, nota l'autore, la grandezza della Madonna, che è stata assunta in cielo nella gloria più eccelsa, non è che "il sottofondo dorato" della sua "piana, cara affabilità" ed è questa certezza che fa dire al poeta: "questa sola mi permette di parlarti e invocarti nella mia orgogliosa miseria", supplicando la Vergine Santa di sorridere di tutto questo suo "amorevole ardimento filiale" perché, altrimenti, confessa "mi metto vergogna."

 

Per concludere, come ben evidenzia il S. Padre, non bisogna dimenticare che "Guardando al Mistero dell'Assunzione della Vergine è possibile comprendere il piano della provvidenza divina relativa all'umanità: dopo Cristo, Verbo incarnato, Maria è la creatura umana che realizza per prima l'ideale escatologico, anticipando la pienezza della felicità promessa agli eletti mediante la resurrezione dei corpi".


Assunzione: Grandi cose compie in noi il Signore 

 

Fernando Armellini

 

Maria è ricordata per l’ultima volta nel Nuovo Testamento all’inizio del libro degli Atti: in preghiera, circondata dagli apostoli e dalla prima comunità cristiana (At 1,14). Poi questa donna dolce e riservata esce di scena, silenziosa e discreta com’era entrata e di lei non sappiamo più nulla; nei testi canonici non viene riferito dove abbia trascorso gli ultimi anni della sua vita e come abbia lasciato questa terra.

 

È a partire dal VI secolo che si diffondono fra i cristiani numerose versioni di un unico tema, la Dormizione della Madonna.

 

Questi testi apocrifi tramandano una serie di notizie sugli ultimi giorni di Maria e sulla sua morte. Si tratta di racconti popolari, in gran parte romanzati, il cui nucleo originario però, risalente al II secolo e composto nell’ambito della Chiesa Madre di Gerusalemme, contiene anche qualche informazione attendibile.

 

Dopo la Pasqua, Maria, con ogni probabilità, visse a Gerusalemme, sul monte Sion, forse nella stessa casa in cui suo figlio aveva celebrato con gli apostoli l’ultima cena.

 

Giunto per lei il momento di lasciare questo mondo – e qui inizia l’aspetto leggendario dei racconti apocrifi – le apparve un messaggero celeste che le annunciò il suo prossimo transito. Dalle terre più remote, gli apostoli, prodigiosamente trasportati su nuvole, giunsero al suo capezzale, conversarono teneramente con lei, rimanendole accanto fino al momento in cui Gesù con una schiera di angeli venne a prendere la sua anima.

 

Accompagnarono poi il suo corpo in corteo fino al torrente Cedron e lì lo deposero in un sepolcro scavato nella roccia. Questo è probabilmente un dettaglio storico. Fin dal I secolo, infatti, la sua tomba, nei pressi della grotta del Getsemani, è stata ininterrottamente venerata. Nel IV secolo fu isolata dalle altre e racchiusa in una chiesa.

 

Tre giorni dopo la sua sepoltura – e qui riprendono le notizie leggendarie – ecco comparire di nuovo Gesù per prendere anche il suo corpo che gli apostoli avevano continuato a vegliare. Diede ordine agli angeli di portarlo sulle nubi e agli apostoli di accompagnarlo. Le nubi si diressero verso oriente, alla volta del paradiso e, giunte nel regno della luce, fra i canti degli angeli e i profumi più deliziosi, lo deposero accanto all’albero della vita.

 

Questi dettagli romanzeschi non hanno evidentemente alcun valore storico, testimoniano però, attraverso immagini e simboli, l’incipiente devozione del popolo cristiano per la madre del Signore.

 

La riflessione dei credenti sulla sorte di Maria dopo la morte ha continuato a svilupparsi lungo i secoli, ha portato alla fede nella sua assunzione e, il 1° novembre 1950, alla definizione pontificia: “L’Immacolata Concezione madre di Dio sempre vergine, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo”.

 

Che significa questo dogma? Forse che il corpo di Maria non ha subito la corruzione o che solo lei e Gesù si troverebbero in paradiso in carne ed ossa, mentre gli altri defunti sarebbero in cielo solo con la loro anima, in attesa del ricongiungimento con i loro corpi?

 

Questa concezione ingenua e grossolana dell’ascensione di Gesù e dell’assunzione di Maria – oltre ad essere un retaggio della filosofia dualistica greca e a contraddire la Bibbia che considera l’uomo un’unità inscindibile – è positivamente esclusa da Paolo che, scrivendo ai corinti, chiarisce che non è il corpo materiale che risorge, ma “un corpo spirituale” (1 Cor 15,44).

 

Il testo della definizione pontificia non parla di “assunta in cielo” – come se ci fosse stato uno spostamento nello spazio o un “rapimento” del suo corpo dalla tomba verso la dimora di Dio – ma dice: “assunta alla gloria celeste”.

 

La “gloria celeste” non è un luogo, ma una condizione nuova. Maria non è andata in un altro posto, portando con sé le fragili spoglie che sono destinate a tornare polvere, non ha abbandonato la comunità dei discepoli che continuano a camminare pellegrini in questo mondo, ha mutato il modo di essere con loro, come ha fatto suo figlio nel giorno di Pasqua.

 

Maria – la “serva del Signore” – è presentata oggi a tutti i credenti non come una privilegiata, ma come il modello più eccelso, come il segno del destino che attende ogni uomo che crede “nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45).

 

Nel mondo si confrontano, in un drammatico duello, le forze della vita e della morte. Dolori, malattie, acciacchi della vecchiaia sono le schermaglie che annunciano l’ultimo assalto dello spaventoso drago. Alla fine la lotta diventa impari e la morte agguanta sempre la sua preda.

 

Dio “amante della vita” assiste impassibile a questa disfatta delle creature che hanno impressa in volto la sua immagine?

 

 

La risposta a questo interrogativo ci viene data oggi in Maria. In lei siamo invitati a contemplare il trionfo del Dio della vita.


Santa Chiara...il coraggio della scelta della povertà


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Santa Chiara...prima donna a scrivere una Regola, grande adoratrice dell'Eucarestia.

 

morte 11 agosto 1253

 

Anno 1211: Domenica delle Palme. Il silenzio della notte nella campagna di Assisi è rotto dai passi veloci di Chiara, 18 anni. Sa di andare contro la ricca e amata famiglia, ma Dio ha messo in lei il desiderio di vera libertà: vuole essere povera. Quella fuga da ogni sicurezza è l’epilogo di un percorso iniziato sette anni prima quando è spettatrice di un fatto sconvolgente: un giovane ricco si spoglia dei vestiti, li restituisce al padre e abbraccia Madonna Povertà: è Francesco. C’è lui quella notte ad attenderla alla Porziuncola: le taglia i capelli, le fa indossare un saio di lana grezza e le trova riparo nel monastero benedettino di San Paolo a Bastia Umbra. Il padre tenterà invano di convincerla a tornare a casa.

 

“Povere dame”

La luce di Chiara attira altre donne, tra cui la madre e le sorelle; presto saranno una cinquantina. Francesco le chiama “Povere dame” o “Povere recluse” e dispone per loro il piccolo monastero di San Damiano, che aveva appena restaurato e dove il giovane ricevette l’invito “Va e ripara la mia casa”. Tra il poverello e Chiara c’è piena comunione, lei si definisce la “sua pianticella” e accompagna la missione dei frati nel mondo con la preghiera incessante insieme alle consorelle.

 

Prima donna a scrivere una Regola

 

Forte e determinata è la prima donna a scrivere una Regola e ad ottenere l’approvazione da parte di Gregorio IX, suggellata poi dalla bolla di Innocenzo IV nel  1253, del “privilegio della povertà” e dell’ardente desiderio di “osservare il Vangelo”. 

 

Instancabile adoratrice dell’Eucarestia

 

La malattia segna i suoi ultimi 30 anni, ma mai recide il contatto gioioso con il Signore nella preghiera: “Niente è tanto grande – scrive – quanto il cuore dell’uomo, lì nell’intimo abita Dio”. Instancabile adoratrice dell’Eucaristia, con in mano la pisside, provoca la fuga dei saraceni da Assisi.

 

Proclamata santa due anni dopo la morte

In una notte di Natale, assorta in preghiera, contempla sulle pareti della sua cella i riti che in quel momento si svolgevano nella Porziuncola, cuore pulsante della comunità dei frati. Per questo motivo è stata dichiarata da Pio XII protettrice della televisione.

 

 

Muore l’11 agosto 1253 sul nudo pavimento di San Damiano. Sulle labbra l’ultimo rendimento di grazie: “Tu Signore, che mi hai creata, sii benedetto”. Ai funerali partecipa una quantità di popolo mai vista e solo due anni dopo è proclamata santa da Alessandro IV.


Edith Stein...resistenza luminosa

Edith Stein morte 9 agosto 1942

 

La «luce che splende nella notte»

 

 

 

Marta Mazzero

 

 

 

«Più si fa buio intorno a noi, e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto». Sono le parole di Edith Stein in una lettera del 9 dicembre 1938: esse dischiudono in breve l’essenza della sua vita e tracciano una direzione sicura a noi, che viviamo in un’epoca storica diversa, ma segnata dalla stessa lotta tra buio e luce, sia dentro che fuori di noi. Questo buio non ci deve schiacciare, ma aprire alla luce che ancora più splende nella notte.

 

Edith Stein è una grande testimone di speranza e non a caso è patrona d’Europa: ha voluto condividere fino in fondo le sorti del suo popolo, diventandone una viva preghiera di intercessione, abbracciando con coraggio la deportazione nei campi di concentramento che la condusse alla morte il 9 agosto 1942.

 

Presenza fedele, di perdono, di speranza

Di famiglia ebraica, scelse durante l’adolescenza di diventare atea, fino a convertirsi al cristianesimo e a consacrarsi nell’ordine carmelitano. Grande filosofa e pensatrice, getta così un ponte tra queste esperienze umane così diverse, per evidenziarne il filo rosso che le lega e che ha espresso con queste sue famose parole: «Chi cerca la verità, consapevolmente o inconsapevolmente cerca Dio».

 

Nel suo pensiero, come nella sua vita, veniamo inoltre introdotti nel grande mistero della croce, che ha tanto amato. Dal campo di concentramento scrive: «Sono contenta di tutto. Ave Crux, Spes unica». Ella ci indica che il luogo del dolore può divenire il luogo del dono di sè nell’amore, e il luogo dell’unione sponsale con Cristo, che nella croce ci ha amato fino alla fine.

 

Ella richiama la nostra attenzione e risveglia la nostra consapevolezza: Cristo è presente proprio nella nostra storia, così com’è, nelle sue luci e nelle sue ombre. E la sua presenza è sempre una presenza fedele, di perdono, speranza, promessa di vita nuova.

 

Nella nostra famiglia religiosa delle carmelitane di s. Teresa di Firenze, è la comunità presente a Praga in Repubblica Ceca che gode della protezione di Santa Teresa Benedetta della Croce (il nome religioso di Edith Stein).

 

Ella infatti è la testimone per eccellenza soprattutto per quei paesi che hanno sofferto il giogo delle grandi dittature e la violenza delle grandi ideologie, e che ora, generazione dopo generazione, cercano la strada verso una libertà sempre più piena, in cui le ferite del passato possano servire come sapienza collettiva, rinnovata coscienza sociale e desiderio di ritrovare, insieme alla propria identità di popolo, anche una profonda spiritualità, dove risiede la verità, dove l’uomo ritrova in modo saldo la propria dignità.

 

La dolce manna

Concludo con un componimento poetico della Santa, composto nel 1942, che ci fa immergere nella vita dello Spirito Santo aprendoci al movimento pasquale di morte e risurrezione: è questa la grande speranza e la forza di noi cristiani, «perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).

 

Non sei la dolce manna

che dal cuore del Figlio fluisce nel mio,

cibo degli angeli e dei santi?

 

Egli, che si levò dalla morte alla vita,

ha risvegliato anche me ad una vita nuova

dal sonno della morte

e mi dà una nuova vita di giorno in giorno,

e un giorno la sua pienezza mi sommergerà,

vita dalla tua vita – tu stesso:

 

Spirito Santo –

Vita eterna.

 

 

Marta Mazzero è carmelitana di Santa Teresa di Firenze